News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 09/11/25

 
La crescita dei movimenti di destra e sovranisti nei paesi occidentali ha beneficiato dell’abilità con cui molti politici d’area hanno alimentato e poi sfruttato preoccupazioni e paure dei cittadini dinanzi al fenomeno dell’immigrazione da Stati del cosiddetto “sud globale”. Passa in genere sotto silenzio il parallelo fenomeno, di entità ben più vasta, delle migrazioni tra paesi di quello stesso “sud globale”. Esemplare, a questo proposito, il caso del Sudan.
L’Osservatorio di politica internazionale del Parlamento italiano ha pubblicato il 2 maggio scorso un’ampia relazione, ricchissima di dati ed analisi, intitolata FOCUS Migrazioni internazionali – leggi.

A proposito del Sudan scrive: “lo scoppio della guerra civile nell’aprile 2023 ha generato un esodo di famiglie e minori verso tutti i Paesi confinanti. […] complessivamente si registrano afflussi massicci in Egitto (oltre 1.500.000 arrivi sudanesi cumulati, +25% rispetto a fine 2024), in Sud Sudan (1.093.000, +15%), in Ciad (772.000, +7%), così come in Uganda, Repubblica Centrafricana, Etiopia e Libia”. Va detto che la catastrofe umanitaria che sta sconvolgendo il paese ha dimensioni e connotati apocalittici.
La conquista della città di El Fasher, principale centro del Darfur settentrionale, da parte delle milizie antigovernative delle “Forze di supporto rapido (RSF)” ha aperto scenari di pulizia etnica che ricordano il genocidio ruandese – leggi il resoconto di Nigrizia e il quadro ragionato della situazione proposto dal Guardianleggi.

Nonostante il taglio editoriale diverso, entrambi gli articoli non esitano a puntare il dito contro gli Emirati arabi uniti (EAU), sponsor non tanto occulto delle RSF. In effetti per gli emiratini il Sudan rappresenta un interesse strategico di primo piano, non ultimo dal punto di vista economico. Come scrive uno studio della scorsa estate dell’European Council on Foreign Relations che inquadra molto chiaramente il conflitto in corso e gli attori coinvolti, “la posizione strategica del Sudan, le sue risorse naturali, le vaste terre coltivabili e la sua importanza per le dinamiche della regione rendono il conflitto profondamente geopolitico” (leggi).

Per chi volesse approfondire questo tema, si segnala una ricerca accademica del prof. Federico Donelli, docente dell’Università di Trieste e membro del Direttivo di Dialoghi europei, pubblicata su The International Spectator (leggi), nonché un’intervista con il medesimo intitolata “La guerra civile in Sudan e la stabilità della regione” nella quale viene sottolineato non solo il coinvolgimento degli EAU, bensì anche dell’Arabia Saudita (ascolta su YouTube, in particolare dal minuto 18:30 per quest’ultimo dettaglio).
 
Parole chiave: Sudan, Emirati Arabi Uniti; Arabia Saudita
Alla fine della Prima Guerra mondiale, ai rappresentanti delle potenze vincitrici convenuti a Versailles si pose il problema delle riparazioni di guerra da imporre ai tedeschi sconfitti. Secondo la World History Encyclopedia “All’interno dei paesi vincitori l’umore dei cittadini comuni e certamente quello della stampa era di far pagare duramente la Germania. […] La prima mossa fu di mettere le mani sui capitali finanziari tedeschi e sulle riserve monetarie depositate all’estero” (leggi).

Pur con tutte le ovvie differenze (la guerra in Ucraina non è ancora finita; la Russia appare al momento tutt’altro che sconfitta; i fondi servirebbero a sostenere lo sforzo bellico di Kiev), il dibattito sull’uso dei capitali russi congelati all’estero per sostenere l’Ucraina ha qualche analogia con quello relativo all’imposizione di “riparazioni”.
È quanto sostiene anche un breve studio pubblicato dall’Università di Harvard (focalizzato sugli USA), in cui si legge che le “proposte del Congresso di trasformare i beni russi congelati in riparazioni per l’Ucraina dovrebbero essere considerate un monito sui limiti legali delle sanzioni economiche. […] Ai sensi del diritto internazionale, il congelamento di beni può essere utilizzato solo per scopi limitati. Gli Stati non possono confiscare beni stranieri.” (leggi).

Sono considerazioni di cui ha dovuto tener conto anche il vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’UE del 23 ottobre che, in merito all’uso dei beni russi congelati in Europa, ha preferito rinviare la decisione: leggi il resoconto fatto dall’ISPI.

L’opposizione più netta all’ipotesi di un incameramento dei beni in questione è venuta dal Belgio, dove è custodita gran parte dei fondi (leggi su Euractiv). Illustra chiaramente gli aspetti tecnici e i vincoli inerenti all’uso dei beni russi congelati un articolo della BBCleggi.
 
Parole chiave: Russia; Beni congelati; Riparazioni di guerra
 

Il 4 novembre la Commissione ha adottato l’annuale “pacchetto allargamento”, l’insieme dei documenti che analizzano i progressi compiuti dai paesi che ambiscono ad aderire all’Unione europea (leggi su Europa.eu). Fin dalle prime righe del commento introduttivo viene ribadito il tradizionale messaggio proveniente da Bruxelles: “Mantenere la coerenza e seguire un approccio basato sul merito è fondamentale affinché l’adesione all’UE sia un successo. […] Il ritmo delle riforme, in particolare per quanto concerne la democrazia, lo stato di diritto e i diritti fondamentali, influisce direttamente sulla velocità del processo di adesione”.

Questa volta tuttavia tale messaggio è stato integrato da un’interessante postilla: “Per garantire che i nuovi Stati membri continuino a mantenere i risultati conseguiti […], i futuri Trattati di adesione dovrebbero includere garanzie più solide contro eventuali regressi rispetto agli impegni assunti durante i negoziati di adesione”. Si tratta di una novità significativa: secondo EUNews “quanto emerso finora indica che sarà portata avanti l’idea di un periodo d’integrazione. In questo lasso di tempo i nuovi membri dovranno rinunciare al diritto di veto e saranno estromessi dalla comunità a 12 stelle in caso di arretramento sui valori fondamentali” (leggi).

Occorre sottolineare che se di un tale cambiamento di approccio si sta effettivamente parlando a Bruxelles, la proposta non fa ancora l’unanimità: la Commissaria all’allargamento Marta Kos ha dichiarato di essere “categoricamente contraria a diverse «classi di adesione» all’Unione europea, precisando poi: «È la mia opinione personale»” come riferito da Euronews, che ha organizzato a Bruxelles un forum dedicato all’allargamento con i leader di diversi paesi candidati tra cui la Presidente moldava Maia Sandu, quello serbo Aleksandar Vučić e i primi ministri di Albania, Montenegro e Macedonia del Nord: Edi Rama, Milojko Spajić e Hristijan Mickoski. (leggi).

Parole chiave: Allargamento; Trattati di adesione; Periodo di integrazione
 

Nel corso del suo intervento al convegno organizzato da Dialoghi europei il 30 ottobre scorso dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), l’ambasciatore Vincenzo De Luca ha tra l’altro sottolineato che, per l’IMEC, esiste “quello che si dice un «game changer»; il «game changer» è l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e l’India” (ascolta al minuto 50:00 della registrazione disponibile su YouTube).

I negoziati per la conclusione di un tale accordo, avviati nel 2007, hanno conosciuto fortune alterne (leggi sul sito della Commissione), registrando tuttavia un cambio di passo a partire dal 2022 (leggi), fino alla decisione di Ursula von der Leyen di recarsi a New Dehli con l’intero collegio dei Commissari nel febbraio 2025 (leggi sul sito dell’EU Institute for Security Studies).

Nonostante Bruxelles sia spesso criticata per l’approccio poco determinato nel condurre trattative commerciali (in un’interessante ricerca pubblicata da Springer Nature si legge che, confrontata con “il crescente rilievo della geopolitica, compresi l’assertività della Cina, l’unilateralismo degli Stati Uniti e l’aggressività della Russia”, l’UE ha reagito “principalmente con innovazioni di policy, e non mediante trasformazioni strutturali” della propria politica negoziale), va osservato che accanto alle trattative con l’India sono in corso di preparazione accordi commerciali con una parte significativa del “sud globale”.

Lo sottolinea un articolo sul sito del Bundesverband der Deutschen Industrie (la Confindustria tedesca) nel quale si ricorda che “Il primo vertice congiunto di sempre tra il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) e l’UE, tenutosi nell’ottobre 2024, il riuscito vertice UE-Mercosur del dicembre 2024, l’incontro UE-India del febbraio 2025 e l’ottavo vertice UE-Sudafrica di metà marzo – tutti questi eventi sottolineano l’impegno strategico dell’Europa per approfondire e rafforzare le proprie partnership globali. Gli incontri ad alto livello riflettono uno sforzo mirato a consolidare la cooperazione, affrontare le sfide comuni e orientarsi in un contesto geopolitico in continua evoluzione” (leggi).
 

Parole chiave: India; IMEC; Accordi di libero scambio
 
Come riportato ampiamente dagli organi d’informazione, l’esito delle elezioni olandesi del 29 ottobre ha visto la vittoria del partito centrista D66, una sensibile flessione del partito sovranista ed islamofobo PVV (Partij voor de Vrijheid, Partito per la libertà) e il netto calo della sinistra: leggi su NL Times).

Che questi risultati non fossero scontati è evidenziato dall’analisi pre-voto del prestigioso istituto di studi politici Chatham House (leggi), che aveva definito D66 un “outsider” con una “tardiva impennata nei sondaggi che lo posizionava al quarto posto”. Aveva al contrario anticipato la vittoria di D66 ABC News (leggi).

Partendo dal suo relativamente conciso programma elettorale (leggi sul sito del partito), il leader dei Democraten 66 Rob Jetten dovrà ora confrontarsi con gli esponenti degli altri partiti con cui formare una coalizione di governo. Di certo non vi farà parte il socialista Frans Timmermans, a lungo membro della Commissione europea e vice di von der Leyen, dimessosi appena usciti gli exit polls che davano il suo partito in caduta: leggi su Politico.eu. Una prima utile analisi delle scelte dell’elettorato olandese e di come siano state influenzate dalla campagna elettorale di Jetten è stata proposta dal sito della Radio della Svizzera Italiana (leggi) mentre le reazioni dei principali quotidiani dei Paesi Bassi sono state riassunte dal sito Dutch News (leggi).
 
Parole chiave: Paesi Bassi; Elezioni