News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 13/04/25

L’estesa area genericamente denominata “Asia centrale” è raramente al centro dell’attenzione dei media in quanto non attraversata – per il momento – da venti di guerra o gravi crisi interne.
Ciò non significa che anche le diplomazie internazionali trascurino i rapporti con i cinque paesi della regione (Kazakhistan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan – tutti turcofoni, salvo il Tajikistan), strategicamente situati tra il Caspio e la Cina, a sud della Russia e a nord di Iran ed Afganistan (un’utile cartina è sul sito delle Nazioni Unitevedi).

Il 4 aprile scorso si è tenuto a Samarcanda, capitale dell’Uzbekistan, il primo vertice UE-Asia centrale, al quale hanno partecipato i Presidenti del Consiglio europeo e della Commissione, Antonio Costa e Ursula von der Leyen, e i Capi di Stato dei cinque paesi interessati (ne ha scritto l’agenzia Novaleggi).
La Dichiarazione congiunta pubblicata alla fine dell’incontro (disponibile sul sito del Consiglio – leggi – al pari del comunicato stampa - leggi) è interessante in quanto non si limita a riconfermare gli scontati impegni a favore della cooperazione e del dialogo, ma identifica alcuni aspetti strategici di grande rilievo: su tutti l’impegno a “sostenere la Piattaforma di Coordinamento per il Corridoio di trasporto transcaspico”.

L’importanza di una tale piattaforma e più in generale del Corridoio transcaspico è stata illustrata nel 2024 dal sito Scenari economici (leggi) e da quello di Trasporto Europa (leggi). Segnalava Scenari economici che nel 2023 “il traffico merci lungo questa rotta ha superato i 2,7 milioni di tonnellate, pari all’86% di tutto il traffico di transito terrestre dalla Cina all’Europa”. La Nuova via della seta si snoda inevitabilmente attraverso questa regione.

 
Parole chiave: Asia centrale, Corridoio transcaspico, Nuova via della seta
Nemmeno il valore emblematico dell’assicurare la presidenza semestrale del Consiglio dell’UE ha fatto desistere la Polonia dal varare una legge che permette di sospendere per 60 giorni il diritto delle persone migranti a chiedere asilo nel paese (ha riportato la notizia Il Postleggi) e che secondo il Consiglio d’Europa introduce misure “che sollevano serie questioni circa la loro compatibilità con gli standard sui diritti umani […] in particolare quelli sanciti dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo” (come indicato da Infomigrants.netleggi).

L’ONG Human Rights Watch è giunta a sostenere che “la Commissione dovrebbe agire per far rispettare i trattati dell’Unione europea e gli obblighi degli Stati membri” (leggi), ma nemmeno il rischio di una procedura d’infrazione ha fermato Varsavia.

Si tratta di un’ulteriore dimostrazione di quanto il tema dei migranti e del suo impatto sull’intera società polacca riesca a cancellare le divisioni tra maggioranza ed opposizione: la legge è infatti stata voluta dal Primo ministro Donald Tusk, che non ha esitato a “rivolgere un appello molto appassionato” al suo principale avversario politico, il Presidente arci-conservatore Andrzej Duda “affinché firmi il disegno di legge il prima possibile” (come riportato dal sito Progetto Radicileggi).

Va comunque ricordato che la Polonia è confrontata ad una vera e propria azione di “guerra ibrida” promossa dalla Bielorussia, che continua a far affluire migranti al confine polacco. Nel paese sono anche presenti circa un milione di ucraini fuggiti dalla guerra e migliaia di esiliati politici bielorussi (la situazione è ben descritta sul sito del Bloomsbury Intelligence and Security Instituteleggi).

 
Parole chiave: Migranti, Polonia
 
 
In una precedente rassegna stampa di Dialoghi europei è già stato citato un interessante articolo dal taglio ideologico e programmatico (leggi) del portale turco filogovernativo Daily Sabah, ma vale la pena ritornarvi in quanto il testo si sofferma anche su uno degli argomenti più importanti dal punto di vista economico e geopolitico per il Mediterraneo orientale, vale a dire lo sfruttamento dei giacimenti sottomarini di idrocarburi scoperti nella regione.

Il tema ha molte implicazioni, non ultima quella relativa al coinvolgimento di aziende italiane, come ricorda un articolo del Sole24Ore intitolato “Eni sigla accordo con Egitto e Cipro: al via l’hub del gas del Mediterraneo Orientale” (leggi). Anche il sito dell’associazione Delta (consulenze aziendali) propone una breve analisi dell’accordo (leggi), non senza esprimere un invito alla prudenza: “restano alcune incognite geopolitiche.
La regione è storicamente segnata da tensioni tra Grecia, Turchia e Cipro Nord, con Ankara che rivendica diritti sulle esplorazioni offshore nel Mediterraneo Orientale
”.
Questo contesto è ulteriormente complicato da contrapposizioni ed alleanze regionali, in alcuni casi storiche, in altre recenti (e mutevoli).

Un ruolo chiave è ovviamente ricoperto anche da Israele, che tutti sembrano desiderare come partner economico: basta leggere quanto riportato da Ekathimerini da un lato (leggi) e quanto aveva scritto (sebbene nel 2021) l’agenzia turca Anadolu (leggi).

In questo momento assume tuttavia importanza fondamentale il destino che sarà riservato al giacimento denominato Gas Marine, ubicato davanti a Gaza e per il quale ENI ha una licenza: secondo il piano arabo per la ricostruzione della striscia (leggi su Il Post) proprio il suo sfruttamento potrebbe finanziare tale ricostruzione. Analizza questo aspetto, “sottaciuto dai media ormai proni ad un’informazione da tifoseria”, un articolo della testata conservatrice Nuovo Giornale Nazionale: leggi.
 
Parole chiave: Fonti energetiche fossili, Gaza, ENI
Se in Africa occidentale la Francia non è riuscita a scongiurare i gravi danni inferti al proprio prestigio e ai propri interessi dai colpi di stato fomentati in particolare dalla Russia nell’ultimo paio d’anni (ne ha dettagliato gli estremi il britannico The Telegraphleggi), Parigi cerca di mantenere una qualche influenza in Libano, paese che fu sotto il suo mandato dal 1920 al 1943 (rievoca tale fase storica e il perdurare dell’interesse francese Inside Overleggi).

In quest’ottica, nel 2020 Emmanuel Macron si è recato per ben due volte a Beirut, e nel corso della seconda visita ha incontrato anche Mohammed Raad, il leader parlamentare di Hezbollah, “movimento classificato come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Germania” (come commentato allora da Le Figaro (leggi).

Ora, dopo il raggiungimento del cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, il 28 marzo 2025 Macron ha ricevuto in visita di Stato il Presidente libanese Joseph Aoun. Secondo quanto lasciato trapelare dai collaboratori del Presidente francese, questi “vede nella visita del presidente libanese un segno di riconoscenza per «l’amicizia e il sostegno incrollabile della Francia al Libano»”, come ha scritto il quotidiano libanese francofono L’Orient Le Jourleggi.

Durante la visita, Aoun e Macron si sono anche collegati in videoconferenza con il leader siriano Ahmed al Sharaa. Secondo quanto riportato dall’agenzia Nova, “Macron ha sottolineato che la revoca delle sanzioni è una «necessità urgente per raggiungere ulteriori progressi politici all’interno della Siria»” (leggi).

L’attivismo di Parigi nella regione è stato evidenziato anche dalla presenza agli incontri dell’Eliseo dei Primi ministri di Grecia e Cipro. Proprio da un articolo del settimanale cipriota Parikiaki, si è appreso che tra gli argomenti evocati c’è stata anche la creazione di una base permanente a disposizione della marina francese nel sud dell’isola (leggi), rivitalizzando un progetto già formulato nel 2019 (di cui scrisse Naval Newsleggi).

 
Parole chiave: Libano, Francia, Siria, Cipro
Tra tante dichiarazioni, auspici, promesse di alti funzionari comunitari e di politici degli Stati membri in merito all’allargamento dell’Unione europea ai Balcani occidentali (ne sono esempio le parole pronunciate a Trieste il 26 marzo scorso dal Ministro degli esteri Antonio Tajani e riportate dall’ANSAleggi) spicca per realismo quanto affermato dalla Commissaria slovena all’allargamento Marta Kos durante un incontro a Lubiana: “Per la prima volta, assistiamo ad una situazione in cui non è più valido il tradizionale processo in base al quale una volta soddisfatti gli specifici criteri i paesi candidati aderiscono all’UE. Forze esterne cercano attivamente di impedire l’adesione di alcuni paesi” (riferito dal sito bne Intellinews – leggi – che non precisa tuttavia di quali “forze” si tratti). (Curiosamente, nei rispettivi interventi pronunciati a poche ore di distanza, sia Tajani che Kos hanno affermato di preferire il termine “[ri]unificazione” a quello di “allargamento”.)

Nella medesima occasione, la Commissaria ha anche affermato che Albania e Montenegro potrebbero concludere i negoziati di adesione nel 2026 o 2027. Per quanto concerne il Montenegro la prospettiva sembra prendere forma, come evidenziato dalle conclusioni di una riunione dedicata all’adeguamento normativo in materia di mercato unico (ne ha stilato un resoconto il sito dedicato al processo di adesione me4euleggi).

Nel corso della riunione è stato anche ricordato (ibidem) che dal novembre prossimo il Montenegro aderirà al circuito SEPA, l’Area unica dei pagamenti in Euro (descritta sul sito di Bankitalialeggi). Quanto sia auspicabile che l’accesso all’UE si concretizzi in tempi ragionevoli è evidenziato anche dall’interesse con cui il processo viene osservato dall’esterno, come suggerisce l’ampia e dettagliata analisi prodotta da China-CEE, un think tank con sede in Ungheria, emanazione dell’Accademia cinese delle scienze sociali (leggi).

 
Parole chiave: Allargamento, Montenegro