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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 15/01

“Come nel venditore di Almanacchi di Leopardi, ognuno si augura che il prossimo anno sia migliore. Ma, come il poeta di Recanati, nel nostro cuore temiamo che non sia così.” È questo l’incipit dell’articolo del giornalista Massimo Nava proposto dal sito del CeSPI - Centro Studi di Politica Internazionale in questo inizio di 2023 e che questa piccola rassegna stampa di Dialoghi europei volentieri segnala ai suoi lettori. Si tratta di un breve testo (meno di 700 parole) che ci ricorda la complessità dell’epoca in cui viviamo e le numerose sfide cui l’Europa dovrà far fronte nell’immediato futuro. Un testo che, nel corso dell’anno appena iniziato, potremmo ogni tanto rileggere per verificare in filigrana se le scelte fatte da chi regge le sorti dei paesi dell’UE e dell’Unione stessa rispondano adeguatamente a tali sfide.

 

Nonostante sia la seconda città di Tunisia per numero di abitanti, Sfax è relativamente poco conosciuta. Per meglio dire, è stata poco conosciuta fino a poco tempo fa, quando il suo importante porto peschereccio si è trasformato in uno dei principali punti di partenza per i cosiddetti barchini di migranti che raggiungono Lampedusa e le coste siciliane evitando di essere individuati anche dalla guardia costiera italiana. Questo flusso si differenzia da quello in provenienza dalla Libia. Se da Tripolitania e Cirenaica partono persone di svariate etnie ed origini, da Sfax si avventurano in mare quasi solo tunisini. Il fenomeno, in rapida crescita, è direttamente collegato alla crisi economica e politica del paese. A dicembre, meno del 9% della popolazione si è recata alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. La disaffezione nei confronti del processo democratico è massima e i giovani cercano prospettive nella fuga dal paese. La parabola della Tunisia dalla “rivoluzione dei gelsomini” alla pericolosa crisi attuale è brevemente tracciata in un articolo apparso su Il caffè geopoliticoleggi.

 


Il protrarsi delle due grandi crisi del Covid19 e della guerra russo-ucraina fa sì che molti altri eventi d’importanza planetaria vengano, se non trascurati, lasciati in penombra o ricevano una copertura mediatica limitata. È così stata relegata quasi tra le notizie di nicchia o per specialisti la decisione dell’Amministrazione Biden di adottare una serie di incentivi fiscali di enorme valore, dichiaratamente destinati a sostenere l’economia verde, ma potenzialmente in grado di falsare la concorrenza internazionale. (Una presentazione dell’Inflation Reduction Act è stata proposta a suo tempo dal sito del Quotidiano Nazionale: leggi.) Tale rischio era apparso evidente sin dall’inizio (si veda il commento de La Voce Info qui), ma ora in Europa si stanno preparando misure concrete intese ad evitare che, attratte dagli incentivi, aziende europee delocalizzino la produzione negli Stati Uniti. I più decisi ad agire sono i francesi, come illustra un articolo sul sito Energia Oltre (leggi), ma il coinvolgimento della Germania lascia sperare che si apra un’opportunità per una risposta europea unitaria.

 

Nell’ormai lontano 2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo sentenziò che la Costituzione della Bosnia-Erzegovina (di fatto un allegato degli accordi di Dayton del 1995) discriminava i cittadini ebrei e rom, in quanto riservava la possibilità di essere eletti alla Presidenza tripartita del paese ai soli bosgnacchi, serbi e croati. Le Istituzioni bosniache non sono ancora riuscite a sanare questo vulnus. La discriminazione, l’oppressione e i tentativi di sterminio hanno da sempre accomunato ebrei e rom, percepiti come troppo “diversi” per non essere pericolosi. Ma soprattutto dopo il dramma incommensurabile della Shoah, alle persecuzioni contro i rom è stato spesso riservato un rilievo minore, nonostante eccidi come quelli di Auschwitz e Jasenovac. (Leggi dalla Treccani e dal sito Romasintigenocide.eu a proposito dello sterminio di rom e Sinti.) La loro “diversità” è costata cara ai rom anche durante le guerre scoppiate con la dissoluzione della Iugoslavia. In particolare nel conflitto tra serbi e kosovari le comunità rom sono state attaccate da entrambi i contendenti e, come racconta un servizio di Balkaninsight, i rom sono ancora tra quelli più penalizzati da quanto accaduto vent’anni fa (leggi).

 

Nell’Occidente unanimemente schierato a sostegno dell’Ucraina contro l’aggressione russa molti si stupiscono non poco che tanti paesi (più di un quarto di quelli rappresentati all’ONU) non abbiano votato le risoluzioni di condanna nei confronti di Mosca. Similmente, tanti sono rimasti sorpresi dall’entusiasmo con cui ad inizio pandemia tanti paesi in Africa, in America latina, ma anche nei Balcani, hanno accolto le forniture da parte di Russia e Cina di vaccini dei quali l’efficacia era alquanto dubbia. C’è in effetti un’autoreferenzialità occidentale che ci fa sentire al centro del mondo: ma tale sentimento non è condiviso da molti paesi di altri continenti. È il caso in particolare di tanti Stati sudamericani, nei confronti dei quali bisogna riconoscere che anche l’Unione europea si è posta spesso in atteggiamento paternalistico, perseguendo nel contempo interessi che è difficile definire pienamente reciproci. Della necessità, dettata anche dall’attuale momento storico, di rifondare i rapporti tra Europa ed America latina(e caraibica) parla un articolo di estremo interesse pubblicato (in inglese) sul sito della Stiftung Wissenschaft und Politik: leggi.

 

Ad inizio gennaio 2022 moriva David Sassoli, Presidente del Parlamento europeo e una delle figure istituzionali meno controverse e più apprezzate, tanto in Italia quanto nell’Unione europea e nel resto del mondo. Lo vogliamo ricordare segnalando un articolo commemorativo apparso sul sito del Think Tank del PE (leggi), ma anche suggerendo la lettura del necrologio che gli dedicò subito dopo l’annuncio della sua scomparsa il New York Times: leggi.