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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 15/10

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi
 
La drammatica conta delle vittime dopo il proditorio attacco di Hamas contro Israele e dopo l’inevitabile, dura risposta di quest’ultimo, mette in questione l’opportunità di proporre, negli stessi giorni, la settimanale rassegna stampa di Dialoghi europei. Ma lo sconcerto e il senso di lutto che proviamo per un evento tanto drammatico non possono essere elaborati con il silenzio. Continuiamo allora a proporre a chi ci segue suggerimenti di lettura e spunti di riflessione, nella speranza che qualsiasi sforzo di analisi e approfondimento aiuti a meglio comprendere la realtà geopolitica in cui viviamo e quindi anche il contesto in cui si avvita su sé stessa la spirale del conflitto israelo-palestinese.
 
SAVE THE DATE

26 ottobre alle 17 presso il Circolo della Stampa / Corso Italia 13
GIORNALISTI RIFUGIATI E MEDIA IN ESILIO: RACCONTARE I REGIMI DALL’ESTERO
Evento di Dialoghi Europei in collaborazione con Articolo 21 e Assostampa FVG.
 
Il tema “media in esilio” e giornalisti rifugiati sta diventando sempre più centrale dopo l’invasione dell'Ucraina. Gran parte di ciò che riusciamo a sapere su autocrazie come Russia, Iran e Turchia passa per questo giornalismo di frontiera, nascosto ma decisivo nel tenere i riflettori puntati su paesi sempre più bui. Non esistono numeri certi su questo fenomeno purtroppo in aumento: di certo c’è che la libertà dei media è sotto attacco in tutto il mondo.
Relatori: Simone Benazzo (giornalista e dottorando presso l’ULB, l’Università Libera di Bruxelles); Cristiano Degano (presidente Ordine dei giornalisti FVG); Giorgio Perini (presidente dell’associazione Dialoghi Europei); Giuseppe Giulietti (coordinatore dei Presidi regionali e territoriali di Articolo 21); Fabiana Martini (giornalista e coordinatrice regionale di Articolo 21). 
 

Il mondo della diplomazia è come un fiume carsico: alterna momenti di visibilità, fatti anche di ricevimenti in eleganti ambasciate, a ben più frequenti operazioni condotte nell’ombra, perseguendo i propri gli obiettivi con i mezzi che di volta in volta la ragion di stato suggerisce. Non deve quindi sorprendere la notizia, riportata da Politico.eu, che solo pochi giorni prima dell’attacco azero che ha portato all’occupazione del Nagorno-Karabakh, diplomatici russi e americani si sono riuniti (con buona pace dell’Ucraina) per discutere proprio delle sorti dell’enclave armena: leggi. Non si sa se sia grazie a (o a causa di) questo incontro che il caso del Nagorno-Karabakh si è poi “chiuso” in tempi tanto brevi. Resta il fatto che la “diplomazia segreta” è spesso considerata una scorciatoia per raggiungere risultati concreti. La storia recente non è tuttavia prodiga di esempi che suggeriscano l’efficacia di tale scorciatoia. Lo spiega con dovizia di riferimenti un articolo apparso nel 2014 sul sito E-International Relationsleggi.

 

La decisione da parte della NATO di rafforzare immediatamente gli organici della KFOR per tenere sotto controllo la situazione nel nord del Kosovo sembra aver riportato una certa calma nella regione. Ma l’episodio dello scontro a fuoco tra un gruppo armato serbo e la polizia kosovara nei pressi di Banjska (un sunto degli avvenimenti è stato proposto da il Post: leggi) è troppo grave per essere così rapidamente dimenticato. Pressioni sono state esercitate dalla comunità internazionale sia su Belgrado che su Pristina per evitare l’esacerbarsi del conflitto (la Serbia in particolare ha rapidamente ridotto la presenza militare al confine, come riferito da Euronewsleggi), ma occorrerà comunque far luce su quanto è successo. Stanno facendo egregiamente il loro lavoro i giornalisti investigativi della rete BIRN (vedi), che hanno pubblicato su Balkan Insight un articolo (leggi) che dimostra con precisione come tutte le armi di cui era dotato il gruppo serbo all’origine degli scontri di Banjska fossero relativamente recenti e provenissero, direttamente o indirettamente, dalla Serbia.

 

Dopo qualsiasi sconfitta elettorale, ogni buon politico si adopera per dimostrare che in realtà la sua parte ha vinto. Anche Giorgia Meloni, politica di vaglio, si è affrettata a salutare come un trionfo dell’Italia la Dichiarazione messa a punto dal vertice UE di Granada (il testo è sul sito del Consiglioleggi), minimizzando il fatto che il punto per lei di maggior rilievo, quello relativo alle migrazioni, era stato espunto (come riportato dall’ANSA: leggi). Il duro confronto su questo testo tra i leader europei è solo l’ennesima dimostrazione della difficoltà di raggiungere una posizione comune quando manca la capacità di formulare concrete proposte politiche. E gli slogan non aiutano. Il più famoso di questi è forse l’abusato “aiutiamoli a casa loro”. In realtà l’UE ha stanziato, tramite lo Strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale (si veda su Eur-lexqui), miliardi di risorse destinate proprio ai paesi da cui ha origine la gran parte dei flussi migratori. Ma come rivelato da un rapporto di Oxfam, una parte consistente di tali risorse non finanzia lo sviluppo, ma l’addestramento di persone e l’acquisto di mezzi per intercettare e riportare indietro chi cerca di partire. Ne ha riferito Linkiestaleggi.

 

Esiste un fascino del record. Nello sport, il suo perseguimento è stimolo per ogni atleta; ma anche nella vita quotidiana le persone sembrano nutrire un particolare interesse per tutto quello che oltrepassa la “normalità”. Quando però un record viene battuto troppo di frequente, l’interesse scema. Sta succedendo così anche con il susseguirsi degli annunci sulle giornate più calde del secolo, sulle siccità più persistenti di sempre, sulle piogge più intense a memoria d’uomo. I record meteorologici si stanno banalizzando e stanno perdendo fascino. Questo sta ridando fiato a coloro che, pur senza essere negazionisti climatici (difficile esserlo, ormai), relativizzano il problema, contestando le misure “green” in nome della sostenibilità economica. Interessante notare come su questa materia si stia aprendo una divisione sempre più netta tra destra e sinistra (un breve articolo di ItaliaOggi lo suggerisce esplicitamente: leggi). Un’analisi un po’ più approfondita, quale quella proposta da Affari Internazionali (leggi), fa un passo ulteriore, indicando come le politiche ambientali non siano solo chiamate a difendere il nostro ecosistema, ma debbano perseguire esplicitamente una politica di giustizia sociale.

 
 

Perseguire obiettivi comuni, pur seguendo strade diverse. È questo in massima sintesi il messaggio che si ricava dopo i due giorni di riunione interministeriale franco-tedesca tenutasi a porte chiuse ad Amburgo, con la partecipazione di Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Tutto sommato all’evento è stata data una pubblicità molto contenuta, nonostante rappresentasse un momento chiave nel tentativo di rilanciare la cooperazione tra i due paesi e, di riflesso, il loro ruolo di “motore” dell’Unione europea. In tempi recenti, le posizioni di Parigi e Berlino sono apparse discordi su diversi temi, comprese le politiche industriale, climatica ed energetica. La riunione di Amburgo ha forse riavvicinato i due paesi, come sostiene Euronews (leggi), ma occorre riconoscere che le dichiarazioni a fine incontro sono state caratterizzate da toni meno trionfalistici di quelli usati in passato. Analoghi toni sono stati scelti anche dalla stampa francese e tedesca: si veda ad esempio quanto hanno scritto Le Figaro (leggi), Les Echos (leggi) e la Frankfurter Allgemeine Zeitung (leggi). Che l’asse franco-tedesco conosca qualche difficoltà è evidenziato forse anche da come il sito gestito congiuntamente dai due Ministeri degli esteri proprio per promuovere e pubblicizzare la cooperazione bilaterale non venga aggiornato da mesi: vedi.

 

Il caso di Giulio Regeni ci ha fatto capire – come se ce ne fosse stato bisogno – quanto intimo sia l’intreccio di reciproci sostegni e inconfessabili alleanze tra i servizi segreti egiziani e il Presidente Al Sisi. La situazione non è certo diversa in Tunisia, dove la metamorfosi da costituzionalista a dittatore di Kaïs Saïed è stata sostenuta dagli apparati di sicurezza e militari, il cui potere è andato aumentando negli anni, come spiega un’attenta analisi di Affari Internazionalileggi. Ma, forte forse dell’esempio di tanti suoi omologhi della regione, l’ambizioso Presidente tunisino sembra voler sfidare la sua (buona?) stella, assumendo posizioni massimaliste e quasi sprezzanti nei confronti delle Istituzioni (UE e FMI) che possono salvare l’economia del suo paese, prossima al default. Illustra il problema il sito InvestireOggileggi.