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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 19/10/25

 

La scheda di presentazione dell’incontro che Dialoghi europei organizza martedì 21 ottobre per la presentazione del libro di Pierluigi Franco Cosa resta dell’Europa, inviata congiuntamente a questa rassegna stampa, dà conto dell’esperienza pluridecennale dell’autore quale giornalista e corrispondente dell’ANSA.
A complemento di tali informazioni, si segnala che Pierluigi Franco è anche l’autore di un libro su Michail Gorbačëv, pubblicato da Rubettino nel 2022 (qui la pagina dell’editore).
Lo stesso Franco ne aveva parlato in una videointervista con la testata giornalistica il Germe di Sulmona, sua città natale (ascolta), e vi aveva dedicato un articolo sulla rivista online Krisis (leggi).
Sempre su Krisis ha più recentemente pubblicato un ampio articolo sul neo-ottomanesimo di Erdoğan (leggi).
Sulla sua scelta di diventare giornalista e sul ruolo e i valori della professione, Pierluigi Franco ha dialogato con Giulia Alberoni della Fondazione Venezia per la Ricerca sulla Pace: leggi.
 

A volte sembra sia da tempo immemorabile che Donald Trump presidia la Casa Bianca, ma in realtà si è insediato quale 47mo presidente degli Stati Uniti solo dieci mesi fa (il precedente mandato aveva coperto il periodo 2017-2021).
A livello internazionale e fino all’accoglimento del piano per il cessate il fuoco a Gaza, l’apprezzamento del suo operato non è stato particolarmente marcato (
leggi cosa ha scritto il Pew Research Center a sei mesi dall’insediamento), ma questi primi mesi hanno già prodotto alcune “prese di coscienza” assai significative soprattutto dal nostro lato dell’Atlantico.

La lezione più importante che l’Europa ha forse dovuto imparare è condensata in una riflessione dell’European Policy Centre: “l’UE deve riconoscere il cambiamento nel pensiero della politica estera statunitense e dialogare con l’Amministrazione Trump con la chiara consapevolezza che le decisioni saranno basate esclusivamente su quelli che sono percepiti come interessi nazionali degli Stati Uniti e su calcoli di politica interna americana.
L’UE non può più aspettarsi un approccio fondato sui valori” – leggi nel documento completo scaricabile da questa pagina.

Morta (o in coma profondo) l’unità di valori, è importante per l’UE accettare questa realtà con pragmatismo ed attrezzarsi al meglio per impostare con Washington un approccio “adulto”: quello stesso invocato da Ursula von del Leyen e Mario Draghi solo poche settimane fa (leggi su EUNews).
Bisogna riconoscere che, dal canto loro, le Istituzioni europee hanno già abbozzato un processo di riforma amministrativa che potrebbe contribuire a renderle più efficienti.
Il Parlamento europeo e la Commissione, ad esempio, stanno ridefinendo l’accordo quadro che regola i rapporti reciproci, come descritto nel Vefassungblog.de (leggi). Ma alcuni importanti segnali iniziano ad indicare anche la volontà di uscire dal terreno delle ipotesi accademiche e puntare a cambiamenti che incidano nelle prassi quotidiane.

Come ha scritto Euractiv il 9 ottobre “La Commissione Affari Costituzionali del Parlamento europeo (AFCO) ha approvato […] un ampio pacchetto di proposte per rendere l’UE più efficiente, democratica e competitiva, rispondendo alle raccomandazioni del rapporto Draghi sulla competitività europea” (leggi).
Le decisioni politiche spetteranno ora agli Stati membri: non a caso nel settembre 2024, prima di presentare ufficialmente il proprio rapporto sulla competitività, Draghi ne anticipò il contenuto proprio agli ambasciatori dei 27 (leggi sul sito di SkyTG24).

Parole chiave: Donald Trump; Rapporti USA-UE; Riforma amministrativa UE
 
 

Tra le polemiche più ideologizzate di questa fase politica centrata molto sugli interessi spiccioli di stati-nazione autoreferenziali, figura senz’altro quella relativa alle tematiche ambientali – leggi le posizioni assunte in merito dalle forze politiche italiane, riassunte da QuiFinanza.
Ciò non significa tuttavia che le azioni intraprese a livello internazionale non continuino a perseguire obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici e, più in generale, alla difesa dell’ecosistema.

Ne è esempio il richiamo (leggi) della Commissione europea agli Stati membri che ancora non avevano recepito la direttiva del 2023 sulla “promozione dell’energia da fonti rinnovabili” (il testo è su EURLex – leggi).
L’Italia si è adeguata e l’8 ottobre ha adottato le pertinenti misure nazionali, come riferito dal sito lavorofacile.it (leggi), ma il quadro a livello mondiale resta preoccupante: ne ha scritto Avvenire (leggi).

Quest’ultimo articolo – pubblicato da un giornale attento ai problemi ambientali – ben illustra alcune delle contraddizioni presenti nei percorsi seguiti da Europa, Cina e Stati Uniti.
Nel caso degli Stati Uniti “Tra le ultime mosse dell’amministrazione vi è la cancellazione di miliardi destinati a programmi per l’energia pulita […].

Questo dietrofront politico produce effetti concreti – non ideologici – sulla traiettoria globale delle rinnovabili”.
Nel frattempo la Cina prosegue in totale autonomia lungo un percorso in cui “ambizione strategica e riforme di mercato convivono con incertezze che pesano sulle tempistiche d’installazione”.
Come segnala tuttavia il sito Energiaoltre.it citando dati molto interessanti, “La Cina è già diventata il leader mondiale dell’energia pulita” (leggi).

Parole chiave: Politiche ambientali; UE; USA; Cina
 
 

Le elezioni svoltesi ad inizio ottobre nella Repubblica ceca hanno visto la netta vittoria di Andrej Babiš, miliardario populista, già Primo ministro dal 2017 al 2021 (i risultati ufficiali sono stati illustrati dalla Associated press: leggi).
Pur trattandosi di un paese relativamente piccolo, l’esito dello scrutinio potrà avere riflessi politici a vari livelli. Innanzi tutto, sul piano interno sarà interessante vedere come il partito di Babiš (ANO) gestirà la formazione di un governo che dovrà essere di coalizione.

Di certo i capisaldi programmatici si rifaranno allo slogan del leader che ha promesso di “mettere i cechi al primo posto”, il che “contrasta con l’enfasi del governo uscente sul sostegno all’Ucraina per rimanere dalla «parte giusta della storia» e sulla disciplina di bilancio”, come ha scritto il Centre for European Reform (leggi).
Sul piano dei rapporti con l’UE gli analisti non si aspettano miglioramenti.

Come ha dichiarato ad EuroFocus la direttrice della praghese Associazione per gli Affari Internazionali, “Ci si può aspettare euroscetticismo dal prossimo esecutivo, al netto del fatto che anche l’attuale governo guidato da Fiala non è esattamente filoeuropeo” (leggi).
Ma è anche sul piano dei rapporti con gli altri paesi del Gruppo di Visegrád (Polonia, Slovacchia e Ungheria) che la vittoria di Babiš potrebbe avere conseguenze. Un’analisi dell’European Policy Centre mette in rilievo come “le elezioni in Repubblica Ceca segnano una svolta decisiva per il Gruppo di Visegrád […]. Praga si prepara a riallinearsi con Ungheria e Slovacchia, irrigidendo il blocco in un’alleanza illiberale” (leggi).

E infatti il giornale pro-governativo ungherese Magyar Nemzet si è compiaciuto del fatto che “per quanto riguarda l’Unione europea e il Gruppo di Visegrád (V4), ci si aspetta che Babiš assuma un tono molto più critico e deciso rispetto alla coalizione uscente” (leggi). La democrazia illiberale sembra quindi confortare la sua presa nell’elettorato europeo.

Tuttavia, una ricerca della London School of Economics lascia trapelare una speranza di cambiamento, laddove nota che “Nonostante la vittoria elettorale del campo illiberale, le due forze politiche più liberali del paese […] hanno aumentato congiuntamente il numero dei loro seggi”. Significativamente, la ricerca è intitolata “Le elezioni ceche del 2025 – La vittoria di Pirro di Andrej Babiš” (leggi).

Parole chiave: Repubblica Ceca; Andrej Babiš; Democrazia illiberale
 
 
Il portale online Luce, collegato al gruppo del Quotidiano Nazionale, ha pubblicato un servizio in cui elenca le proteste che la cosiddetta Gen Z sta animando in molti paesi del mondo (leggi).
Tra i casi citati c’è ovviamente quello della Serbia, dove da un anno gli studenti sono mobilitati contro le autorità e si prevede ritornino in piazza in gran numero nell’anniversario (1° novembre) della tragedia di Novi Sad (leggi sul sito serbo di sinistra Mašina), ma anche quello del Marocco.

Se in Serbia l’episodio che ha scatenato la rivolta è stato il crollo di una pensilina che ha causato 14 vittime (leggi cosa scrisse Eastjournal), nel paese magrebino il casus belli è stata la morte di otto donne ricoverate in un ospedale pubblico di Agadir per sottoporsi a parto cesareo. I
nteressante osservare che in entrambe le circostanze i giovani si sono mobilitati – rigorosamente tramite i social media – sull’onda dell’indignazione per drammatici eventi di cronaca e non per scelte politico-ideologiche (il sito della televisione francese TF1info ha abbozzato un ritratto del movimento GenZ 212 marocchino: leggi).

Intanto nel regno alawita le manifestazioni proseguono, in genere pacifiche ma con sporadici episodi di violenza: ne ha scritto anche l’agenzia AGI – leggi.
Il re Mohammed VI è intervenuto in prima persona con un discorso davanti al Parlamento, ma non sembra esser riuscito a convincere i giovani protestatari, come ha scritto sempre TF1info: leggi.
Un breve podcast di FranceInter sintetizza il discorso del sovrano (ascolta in francese).
 
Parole chiave: GenZ; Manifestazioni; Serbia; Marocco