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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 28/09/25

Il cinquantesimo anniversario (6 maggio 2025) dell’avvio delle relazioni tra l’Union europea e la Cina non ha ricevuto grande rilievo informativo/mediatico (leggi il commento di Modern Diplomacy). Anche a livello politico, le dichiarazioni di prammatica sono state semplicemente affidate ai rispettivi ambasciatori: Jorge Toledo per l’UE (leggi sul sito del Servizio esterno dell’Unione) e Cai Run per la Repubblica popolare cinese (leggi sul sito del Ministero degli esteri di Pechino). La ricorrenza è stata naturalmente ricordata durante il vertice UE-Cina del luglio scorso, ma anche in tale occasione è stata alquanto offuscata dallo “scenario mondiale profondamente scosso da guerre, instabilità e dazi”, segnalato da Scenari internazionali – leggi. Come ha notato un articolo pubblicato sul Magazine della Treccani, “dal 2019, anno in cui la Commissione europea ha definito la Cina «partner strategico, concorrente economico e rivale sistemico» […], l’ambivalenza è diventata cifra costitutiva del legame tra le due potenze” (leggi). La percezione della Cina come “rivale strategico” persiste e molti paesi europei guardano con preoccupazione al costante impegno cinese nell’esercizio del proprio soft power. Ricorda un articolo di Geopolitica.info che “il soft power cinese è un concetto particolarmente ampio. Non si limita all’export di prodotti culturali […], ma comprende a stretto contatto la diplomazia strategica, l’influenza politica e le partnerships economiche” (leggi). Visto che questo approccio assertivo è adattato alle diverse aree geografiche e ai singoli paesi, è evidente l’importanza di poter valutare il grado di successo degli sforzi di Pechino. È quanto ha cercato di fare la ONG di Taiwan Doublethink Lab, che ha realizzato il China Index, una piattaforma di ricerca intesa a valutare in modo sistematico l’influenza della Cina in diversi paesi: leggi. Interessante osservare il posizionamento degli stati dei Balcani in questa particolare classifica: vi ha dedicato un articolo il Piccolo di domenica 14 settembre (leggi sul sito di Nord Est Multimedia – NEM). Va notato tuttavia che se la piattaforma China Index si presenta in modo molto accattivante ed è ricca di informazioni, la validità scientifica dei contenuti va considerata con prudenza, come segnala The Loop, sito dell’European Consortium for Political Researchleggi.

Parole chiave: Cina; Soft power; Balcani
 

La disputa greco-turca in merito alla sovranità su isole ed isolotti dell’Egeo risale, nelle forme attuali, almeno al Trattato di Losanna che, nel 1923, ha stabilito i confini della Turchia post-ottomana (leggi in proposito un breve articolo di Avvenire e una più organica presentazione su Swissinfo). Non si può dire che, negli oltre cent’anni seguiti alla firma del trattato (disponibile sul sito Dodecaneso.org), quanto allora convenuto sia stato pacificamente accettato da Ankara ed Atene. I due paesi continuano ad esprimere giudizi antitetici: i rispettivi Ministeri degli esteri dedicano molto spazio sui propri siti istituzionali all’illustrazione delle proprie posizioni (leggi quella greca e leggi quella turca). Il confronto diplomatico va in parallelo con uno stillicidio di sgarbi e provocazioni anche di tipo militare, nonostante la comune appartenenza all’Alleanza atlantica – leggi quanto scriveva il sito dell’Università di Padova nel 2020. Le esercitazioni di marina ed aviazione sui tratti di mare contesi sono frequentissime e in genere provocano l’immediata reazione della parte avversa: ne è esempio l’iniziativa greca di questi giorni come risposta a preannunciate prospezioni del fondale marino da parte turca (leggi quanto scrive Kathimerini e leggi quanto scrive il turco Center for Eurasian Studies). Ma non sono solo le scaramucce nell’Egeo a preoccupare la Grecia (ed anche Cipro): il ruolo crescente di Erdoğan sulla scena internazionale, le mire di Ankara su gas e petrolio del Mediterraneo orientale e il riarmo del secondo più grande esercito della NATO stanno creando apprensione crescente: ne scrive formiche.net – leggi.

Parole chiave: Grecia; Turchia; Egeo
 

Il progetto di una galleria ferroviaria sotto al Brennero ha iniziato a concretizzarsi nel 1994, “quando l’Unione Europea inserì il corridoio Berlino–Napoli nell’elenco dei progetti prioritari”, come ricorda il sito della società BBT SE, costituita proprio per realizzare l’opera (leggi). Oggetto di un Memorandum d’intesa tra Italia ed Austria (firmato a Vienna nel 2007 – leggi sul sito della Provincia di Bolzano), la costruzione della galleria ha beneficiato di ingenti finanziamenti europei: scriveva nel 2019 il sito Mobilia.org “l’Europa che già contribuisce con quote variabili tra il 40 % e il 50 % dei costi sostenuti, in futuro prevede un ulteriore incremento del cofinanziamento”. Il 15 settembre 2025 è stato abbattuto l’ultimo diaframma del cunicolo esplorativo alla presenza di Giorgia Meloni, del Cancelliere austriaco e del Commissario europeo ai Trasporti. L’evento ha naturalmente ricevuto grande attenzione sul citato sito della BBT SE (leggi). Quanto va tuttavia sottolineato, è come anche quest’opera di ingegneria civile abbia, con il passare degli anni, risentito del mutato spirito dei tempi, che sta diventando sempre più uno “spirto guerrier”. Ecco quindi che dando la notizia della caduta dell’ultimo diaframma di roccia, Euractiv ha titolato: “La svolta nel tunnel del Brennero mostra come l’UE si sta preparando alle crisi e alle guerre future” (leggi). Il tono e le parole usate non devono sorprendere: nella Comunicazione della Commissione e dell’Alto Rappresentante del novembre 2022 si legge: “La bussola strategica per la sicurezza e la difesa, che il Consiglio europeo ha approvato nel marzo 2022, sottolinea che: «l’aggressione militare russa nei confronti dell’Ucraina ha confermato l’urgente necessità di migliorare in modo sostanziale la mobilità militare delle nostre forze armate all’interno e all’esterno dell’Unione»”. E il Regolamento 1679/ 2024 ha stabilito che “nello sviluppo delle reti di trasporti” […] “è attribuita priorità generale alle misure necessarie” per adattare “l’infrastruttura a un duplice uso al fine di rispondere alle esigenze civili e di difesa, prestando particolare attenzione agli itinerari necessari per i movimenti di forze militari” (leggi).

 
Parole chiave: Traforo del Brennero, Infrastrutture civili, Uso militare
 

Ha fatto il giro del mondo la gaffe di Donald Trump nel corso della visita di Stato a Londra, quando nel giro di poche parole ha storpiato il nome dell’Azerbaijan ed ha confuso l’Albania con l’Armenia (guarda il video sul sito del Corriere). Eppure il Presidente americano avrebbe ben dovuto conoscere i due paesi caucasici, visto che l’8 agosto scorso aveva ospitato alla Casa Bianca il suo omologo azero Ilham Aliyev e il Primo ministro armeno Nikol Pashinyan, promuovendo la firma di un accordo di pace, dopo decenni di guerre e contrasti (leggi sulla BBC). Comunque, anche se la situazione geografica e toponomastica poteva non essergli pienamente chiara, di certo era consapevole del tornaconto economico derivante dalla conclusione di tale accordo. Con quest’ultimo infatti “gli Stati Uniti hanno ottenuto i diritti esclusivi di sviluppo per i prossimi 99 anni del corridoio di Zangezur, un’area transito strategico nella regione, rinominato Trump Route for International Peace and Prosperity (TRIPP)” come riferito da Eastjournalleggi. Se da un lato l’iniziativa di pacificazione tra Armenia ed Azerbaijan potrebbe chiudere una lunga fase di contrapposizioni, dall’altro non è detto che la regione caucasica stia per entrare in un’era di stabilità. Per Mosca infatti il Caucaso rappresenta una zona che ritiene strategica per la propria sicurezza ed influenza. Un’analisi aggiornata dell’andamento dei rapporti bilaterali tra la Russia e i paesi della regione è proposta in un altro articolo di Eastjournalleggi.

 
Parole chiave: Donald Trump; Armenia-Azerbaijan; Corridoio di Zangezur
 
 
 

Mark Mazower, professore alla Columbia University (leggi il suo profilo), è storico di vaglia ed eccellente scrittore, capace di condensare in poche righe concetti essenziali. Nel novembre 2016 (un’era fa: Barack Obama era Presidente negli USA, François Hollande in Francia e Matteo Renzi Primo ministro in Italia) Mazower ha pubblicato un breve articolo sul Financial Times intitolato “Le idee che hanno nutrito la bestia del fascismo oggi prosperano” (leggi). Scriveva lo storico: “C’è almeno un […] aspetto cruciale in cui gli anni tra le due guerre e i nostri tempi si rispecchiano in modo disturbante. Probabilmente dovremmo riflettere non tanto su chi sia diventato fascista, quanto su chi abbia perso fiducia nel governo parlamentare, nei suoi meccanismi di controllo e nelle libertà fondamentali. A fondamento dell’ascesa del fascismo vi era una profonda crisi della democrazia liberale”. Sono parole che obbligano a ben ponderare l’attualità, quella ad esempio descritta da due brevi notizie apparse lo stesso giorno su Euractiv: una relativa all’estrema destra olandese (leggi), l’altra ad Alternative für Deutschland (leggi). L’articolo di Mazower è citato anche in chiusura di una ricerca che contestualizza l’ascesa delle destre in una prospettiva storica. La ricerca, disponibile sul sito Europenow Journal (leggi), osserva tra l’altro come “i partiti europei tradizionali sono andati sempre più convergendo verso un nuovo consenso delle élite, con un programma comune che puntava all’integrazione attraverso l’UE, società multietniche e riforme economiche neoliberali, creando così un terreno fertile per i partiti di estrema destra, dato che molti elettori hanno iniziato a considerare le élite politiche come indistinguibili le une dalle altre”.

Parole chiave: Fascismo; Nuove destre; Crisi della democrazia liberale