News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 08/10

Viviamo in un’epoca nella quale, se esistessero dei sismografi in grado di registrare i movimenti geopolitici globali, vedremmo i loro pennini oscillare freneticamente. Molti dubbi stanno mettendo in crisi le certezze maturate dalla fine della guerra fredda e il ripiegamento nazionalistico che si osserva un po’ dappertutto è forse una manifestazione del desiderio di sfuggire al confronto con un mondo dal funzionamento sempre più complesso. Il fatto che il cosiddetto “sud globale” abbia sostanzialmente rifiutato di condannare la Russia per l’aggressione all’Ucraina ha improvvisamente mostrato al “nord globale” che anche alcuni valori considerati universali non lo sono affatto. Non è chiaro quale potrà essere l’esito del grande riposizionamento strategico in atto, se la democrazia liberale resisterà all’autocrazia assolutista. Di sicuro i giochi non sono decisi. Ci aiuta a capire la portata dello scontro ideologico-strategico un saggio breve apparso su Foreign Affairsleggi

 

Le prossime elezioni politiche del Regno Unito sono previste per inizio 2025. Se la scadenza non verrà anticipata, saranno passati a quel punto cinque anni (e tre Primi ministri) dalla formalizzazione della Brexit. Eppure l’argomento è ancora tra quelli maggiormente ricorrenti nel dibattito politico d’oltremanica: uno spettro di cui Londra non riesce a liberarsi. Nessuno o quasi chiede un ritorno all’ovile dell’UE: anche il leader laburista Starmer, favorito nei sondaggi, è stato esplicito nell’affermare che il suo partito non intende cercare una ri-adesione (si veda quanto riportato dall’ANSAleggi). Ma sia i Tories, sia il Labour non perdono occasione per ribadire la necessità di rinegoziare questo o quell’aspetto degli accordi che hanno suggellato la Brexit. Un articolo di Politico ha ben messo in luce il pragmatismo del premier Sunak (leggi), costretto a ricercare adeguamenti parziali su punti specifici, ben sapendo che il problema è assai più vasto. Quanto ciò incida sulla quotidianità dei britannici è illustrato da un’intervista ad un docente di Oxford, pubblicata dall’agenzia SIRleggi.

 

Anche i politici che lo hanno invocano in campagna elettorale (e quelli che ancora lo invocano dopo aver conquistato il potere) sanno benissimo che un blocco navale nel Mediterraneo a “difesa dai confini” contro i barchini dei migranti non è materialmente realizzabile. La panacea alternativa è allora indicata negli accordi con i paesi da cui tali barchini salpano, affinché blocchino chi vuole partire. Il modello turco è preso ad esempio, anche se in realtà le differenze sono macroscopiche: teoricamente almeno, i turchi sono pagati per trattenere in campi profughi gli esuli siriani fuggiti dalla guerra e che un giorno potrebbero rientrare nel loro (poco distante) paese. Alla Libia e alla Tunisia si chiede invece di bloccare il flusso di migranti sub-sahariani, per i quali prospettive di rientro nei luoghi di origine proprio non ce ne sono. I rapporti con il continente africano stanno diventando ingestibili per l’Europa. La decisione di Macron di ritirare l’Ambasciatore e il contingente militare francesi dal Niger (ne ha scritto anche Nigrizialeggi) segna un nuovo cedimento al golpismo e ancor più alle aggressive politiche neo-coloniali di Cina e Russia. Lo confermano i dati evidenziati in un resoconto pubblicato da Articolo21leggi.

 

Quando si parla di allargamento dell’UE è inevitabile fare riferimento ai “criteri di Copenaghen”, vale a dire alle condizioni e ai principi che presiedono all’adesione di nuovi Stati membri (se ne può prendere visione sul sito Eur-Lexleggi). Forse perché considerato troppo tecnico e troppo poco politico, uno di tali criteri viene spesso sottovalutato. Si tratta della “capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione”. Dell’importanza che un paese in procinto di accedere abbia forgiato tale “capacità” è esempio lampante l’aspra disputa tra la Polonia   (ma anche Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia) e l’Ucraina sulle esportazioni di cereali da parte di quest’ultima. Pur grande sostenitrice di Kiev nel conflitto con la Russia, Varsavia non vuole minimamente accettare che la concorrenza ucraina penalizzi i propri agricoltori (si veda l’articolo di Euronewsleggi). Di come questa “guerra del grano” getti strani bagliori sul futuro negoziato di adesione dell’Ucraina è illustrato da un articolo de Linkiestaleggi.  

 
 

Ci sono immagini dell’esodo degli armeni dal Nagorno-Karabakh che ricordano alcuni fotogrammi di Novecento di Bertolucci, quelli che mostravano i mezzadri sfrattati che nella nebbia novembrina si allontanavano con le poche cose che possedevano: per i poveri tutto il mondo è paese e anche il tempo dell’emancipazione sembra scorrere più lento. Ora che quell’esodo è praticamente ultimato, che la regione è stata etnicamente “ripulita”, i vincitori (che non sono solo gli azeri) muovono le loro pedine e cercano di dar concretezza a piani studiati da tempo per rinvigorire alleanze e indebolire avversari. Interessante osservare che non sono solo quelli più direttamente coinvolti a prestare attenzione agli sviluppi. Anche i paesi del Golfo sono all’erta, preoccupati dall’aumento dell’influenza turca da un lato e iraniana dall’altro. Ciò traspare chiaramente da un articolo (leggi) pubblicato su un sito – il Gulf International Forum – con sede sociale a Washington ma che si avvale di contributi di autori del Golfo.

 

Nel 2022 è scoppiato in Grecia un grave scandalo originato dalla scoperta di un vasto sistema di intercettazioni abusive a danno di politici e giornalisti. Il caso, denominato Predatorgate, ha suscitato grande scalpore a livello europeo (si veda cosa ne scrive la pagina istituzionale del Parlamento europeoleggi), ma non ha impedito alle forze di maggioranza di vincere le elezioni e al Primo ministro Mitsotakis di continuare a governare. In verità l’informazione in Grecia è a tal punto esposta a condizionamenti da parte della politica e del mondo dell’economia, che nella classifica di Reporters Without Borders sull’indipendenza dei media, Atene si colloca al 107° posto: leggi (per raffronto, l’Italia occupa la 41° posizione). Nei negoziati con i paesi candidati, l’UE indica la libertà di espressione tra i diritti fondamentali da promuovere (la strategia per l’allargamento è disponibile sul sito della Commissioneleggi). Diventerà prima o poi imbarazzante insistere su tali diritti quando uno Stato membro di lunga data (1981) è a tal punto inadempiente. Le richieste formulate al Governo greco sul tema da parte di una rappresentanza di otto organizzazioni internazionali che hanno condotto una missione nel paese sono riassunte in un articolo dell’Osservatorio Balcani Caucasoleggi.