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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 09/07

Il 1° luglio la Spagna ha assunto la Presidenza a rotazione del Consiglio dell’Unione europea. Le grandi linee del Programma del semestre spagnolo (disponibile sul sito ufficiale – leggi) erano state fissate da tempo, ma dopo la sconfitta elettorale subita allo scrutinio amministrativo del maggio scorso e la decisione del Primo ministro Sánchez di convocare elezioni anticipate per il 23 luglio prossimo, l’avvio delle Presidenza sarà senz’altro condizionato dal dibattito interno. Il risultato delle urne inciderà poi sul modo in cui le priorità della Presidenza (disponibili qui), fissate nel programma predisposto da Sánchez, saranno effettivamente perseguite, a seconda che il prossimo governo sia guidato dallo stesso Sánchez o dalla destra. Di tutto questo e dell’importanza del prossimo voto spagnolo nella prospettiva delle elezioni europee del giugno 2024 e, conseguentemente, delle successive nomine istituzionali a Bruxelles, parla un articolo apparso sul sito Geopolitica.infoleggi

 

Nel 2020 l’Egitto ha superato la soglia dei 100 milioni di abitanti e il suo tasso di crescita demografica annua continua ad essere vicino al 2%. In Turchia gli abitanti sono 85 milioni e se il loro incremento annuale è “solo” di poco più dell’1%, tale percentuale rappresenta pur sempre un aumento di quasi un milione di persone ogni dodici mesi. La demografia è ovviamente un’arma a doppio taglio: può essere un macigno di povertà che grava sullo sviluppo economico, ma può essere anche un volano di crescita se innescato da adeguati investimenti. Merita attenzione quindi quanto avviene nei due paesi citati, in quanto la dimensione demografica si abbina ad una geografia che li rende fondamentali per l’intera area del Mediterraneo orientale. Per molti anni Turchia ed Egitto sono stati avversari “sistemici”: dal rapporto con i Fratelli Mussulmani, al sostegno alle fazioni contrapposte in Libia, alla disputa durissima sullo sfruttamento delle risorse energetiche sottomarine della regione, i motivi di conflitto sono stati numerosi e gravi. Da un anno a questa parte, tuttavia, si assiste ad un ravvicinamento tra Ankara e il Cairo, con un’accelerazione che potrebbe preludere ad una nuova alleanza capace di modificare molti equilibri in Medioriente e non solo. Parla di tutto ciò una pregevole ricerca (con ricco apparato di note) pubblicata dal Cespileggi

 

Tra le qualità che differenziano gli statisti dai politici c’è la capacità dei primi di “gettare il cuore oltre l’ostacolo”, di guardare al futuro con spirito laicamente profetico, liberandosi dall’urgenza della quotidianità. Va da sé che quando la sfida diventa azzardo e l’azzardo non paga, la storia condanna anche i profeti. Aver accolto con grande benevolenza la richiesta di adesione dell’Ucraina all’UE da parte delle Istituzioni e dei leader europei (o almeno di alcuni di loro) è indubbiamente un segno positivo e una decisione che guarda al futuro più che alle difficoltà e ai problemi dell’oggi. Questo anche perché accogliere l’Ucraina nell’UE determinerebbe – al netto dell’incidenza sulla politica di difesa e sicurezza e di quella relativa allo sforzo di ricostruzione post-bellico – un profondo cambiamento degli equilibri all’interno dell’Unione stessa. Riflette su queste prospettive un articolo pubblicato su Formiche.netleggi

 

Il correntismo politico italiano sembra avere una storia lunghissima, legata a tutta una serie di fattori che vanno dalle convinzioni ideologiche (quando ancora esistevano le ideologie), ai banali episodi di antipatia personale tra rappresentanti dello stesso partito, con corollari di “appoggi esterni” e “governi balneari”. Sarebbe sbagliato tuttavia considerare il fenomeno come tipicamente italiano. Anche dove la storia politica e le scelte istituzionali hanno portato al prevalere di strutture partitiche apparentemente monolitiche, la presenza di correnti interne è tutt’altro che rara. Ne è un esempio il Regno Unito, dove il maggioritario puro ha favorito una semplificazione estrema del sistema dei partiti. È così avvenuto che, sia all’interno del Labour, sia tra i Tory, i punti di dissidio tra fazioni contrapposte raggiungano livelli forse sconosciuti in Italia, dove piace molto di più inventarsi scissioni. È di questi giorni un duro attacco di un nutrito numero di giovani deputati conservatori nei confronti del Primo ministro Rishi Sunak e più in particolare della sua politica in materia di immigrazione, giudicata troppo debole. Racconta la fronda a Sunak un articolo di Politico.euleggi. Eppure è un fatto che il Primo ministro britannico non sia propriamente una colomba in materia di lotta all’immigrazione clandestina, visto che aveva fatto suoi i progetti (di Boris Johnson) di “ricollocamento” di migranti in Ruanda, progetti vanificati poi dai giudici della Corte d’Appello di Londra (ne ha riferito, tra gli altri, il Corriere del Ticinoleggi).

 

Le persone che seguono anche solo superficialmente l’attualità conoscono il significato di sigle come UE, NATO, ONU e persino FMI.  Meno noto è probabilmente (per il momento) l’acronimo BRICS, che pure è in uso da quasi vent’anni. Fu nel 2006 che Brasile, Russia, India e Cina (cui più tardi si unì il Sudafrica) gettarono le basi di un progetto volto a contrastare il ruolo internazionale del dollaro e l’egemonia del Fondo Monetario Internazionale. Da allora, pur privi di una struttura istituzionale definita, i BRICS esercitano una significativa forza di attrazione per molti paesi, non da ultimo grazie ad una narrazione che li vorrebbe eredi del movimento dei “non allineati”. (Un interessante articolo sui BRICS è stato pubblicato l’anno scorso da Affarinternazionali.itleggi.) In realtà, considerando che due membri fondatori dei BRICS sono Cina e Russia, di “non allineato” i BRICS hanno assai poco e il loro successo dovrebbe suscitare qualche preoccupazione. Si è recentemente aggiunta alla (lunga) lista dei paesi che vorrebbero aderire ai BRICS anche l’Etiopia, strategico baluardo del Corno d’Africa. La notizia è riportata dalla CNNleggi.

 

Anche nell’epoca dell’intelligenza artificiale, la forza evocatrice della locomotiva rimane intatta: la grande macchina sbuffante sembra ancora avere dentro di sé “un potere tremendo”, come cantava Francesco Guccini (chi ne ha nostalgia può riascoltarlo qui). Per molto tempo, usando l’espressione “locomotiva d’Europa” si è fatto riferimento alla Germania e al “potere tremendo” della sua economia. Molti segnali stanno tuttavia indicando che questa locomotiva continentale è a corto di vapore e sta rallentando. Ci si accorge ora che per anni Berlino si è comportata come alcune delle capitali che non ha esitato a criticare: con un’economia fiorente trainata soprattutto dal commercio estero, ha trascurato le riforme interne, che sarebbero state invece necessarie. Così adesso gravi carenze emergono nella rete dei trasporti, nel settore dell’istruzione, in quello dei servizi. Persino la politica sociale è rimasta inadeguata, con un livello di occupazione femminile giudicato insufficiente (pur essendo di venti punti superiore a quello italiano). Un’analisi estremamente interessante della situazione socioeconomica della Germania è proposta sul sito del Centre for European Reformleggi.