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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 10/03

È interessante notare che, appena due giorni dopo le sorprendenti dichiarazioni del Presidente francese Emmanuel Macron circa la possibilità che alcuni paesi occidentali possano in futuro inviare proprie truppe a sostegno dell’Ucraina (ne ha scritto l’Express – leggi – e, con un’analisi più ampia, Formiche.net – leggi), l’autoproclamata Repubblica di Transnistria abbia chiesto alla Russia di “attuare misure per proteggere la Transnistria di fronte [alla] crescente pressione della Moldavia” (come scritto in due esaurienti articoli del Sole24Oreleggi e leggi). Si potrebbe pensare che, di fronte ad un così evidente tentativo di destabilizzazione attuato da Mosca per tramite dei suoi novelli quisling di Tiraspol (di cui parla il sito britannico Conservative Homeleggi), Macron, allertato circa la possibilità di una tale mossa, abbia voluto lanciare in anticipo un segnale a Putin, ribadendo che la sconfitta della Russia “è indispensabile alla sicurezza e alla stabilità dell’Europa”, come riferito dall’Agenzia Novaleggi.

 

 

Un articolo di Repubblica pubblicato proprio un anno fa segnalava come il “flusso di partenze […] dal 2016 al 2020 ha portato la popolazione in età lavorativa dei Balcani occidentali a diminuire di oltre 400 mila unità”: leggi. Da allora la tendenza non si è certo modificata e le prospettive per il medio periodo sono catastrofiche: lo evidenzia meglio delle parole una tabella contenuta in un articolo della Berner Zeitung che traccia l’andamento della popolazione nell’Europa sud-orientale nella prospettiva 2050 – leggi. Il quadro statistico relativo ai paesi dei Balcani occidentali (più la Turchia) è annualmente aggiornato da Eurostatleggi. In tale contesto di crisi demografica ormai conclamata, lascia alquanto perplessi una polemica che si sta facendo strada in merito al declino del numero di serbi che vivono in Kosovo. Il 19 febbraio, il centro studi European Stability Initiative ha pubblicato un rapporto in materia decisamente critico nei confronti delle affermazioni del Governo di Belgrado circa le cause di tale declino (il titolo del rapporto è esplicito: “Pogrom inventati. Statistiche, bugie e confusione in Kosovo” – leggi). Solo pochi giorni dopo, un intervento su Balkan Insight di una docente dell’Università di Belgrado ha duramente contestato le tesi del rapporto e ribadito la posizione serba: “la mancanza di rispetto dei diritti umani e la paura per la sicurezza personale sono il principale motore dell’emigrazione […] della popolazione serba dal Kosovo” (leggi).

 

Da un punto di vista geografico, la penisola anatolica si pone come terra di congiunzione tra le due regioni oggi investite dai più gravi e sanguinosi eventi bellici in atto: a nord, sulle sponde settentrionali del Mar Nero, il conflitto tra Russia e Ucraina; a sud, a poche centinaia di chilometri dalla frontiera turco-siriana, la guerra tra Israele e Hamas. È quindi ben comprensibile che il Presidente Erdoğan cerchi di sfruttare tali situazioni per perseguire i propri obiettivi strategici, riconducibili tutti al tentativo di imporre la Turchia come potenza regionale (e neo-ottomana). Si può leggere in questo senso il riavvicinamento al fronte occidentale con il via libera all’adesione della Svezia alla NATO e con l’applicazione di alcune misure sanzionatorie nei confronti della Russia. Come ha scritto Euractiv.com, non per questo vengono davvero intaccati i rapporti con Mosca (leggi). Uno dei problemi fondamentali della Turchia è l’approvvigionamento energetico (vi ha dedicato una ricerca approfondita Carnegie Europeleggi) e il paese non può privarsi delle forniture russe. Tuttavia, una potenza regionale, per essere tale, non può guardare solo al proprio cortile: ed ecco che Ankara sposta la propria visione più a sud, fino al Corno d’Africa. Firmando un nuovo Patto formale con la Somalia (di cui parla il sito del pan-africano Institute for Security Studiesleggi), Erdoğan è riuscito a raggiungere il duplice risultato di assicurarsi il possibile sfruttamento di giacimenti energetici al largo delle coste somale e di porsi come ineludibile protagonista nel Golfo di Aden, porta del Mar Rosso. Alla firma del Patto ha dedicato una breve analisi Nigrizialeggi.

 

Cinque anni fa (un lustro che ha cambiato il mondo attorno a noi) alla Casa Bianca c’era Donald Trump che portava avanti la sua spavalda offensiva anti-cinese, teorizzando il “disaccoppiamento” tra le due economie (tra i molti commenti anche quello del New York Timesleggi). L’UE voleva anche essere assertiva nei confronti di Pechino e la Commissione pubblicò una Comunicazione con la sua prospettiva strategica (leggi). Nel comunicato stampa di presentazione del documento (leggi) si indicava che la Cina “è al tempo stesso un partner di cooperazione […], un partner di negoziato […], un concorrente economico […] e un rivale sistemico”. Tradurre tale definizione nel linguaggio dei rapporti bilaterali era una sfida di per sé, e vincerla non era e non è scontato. A correzione del semplice “disaccoppiamento”, e sulla base delle lezioni apprese con la guerra in Ucraina, l’UE e l’intero Occidente hanno quindi puntato sulla riduzione dei rischi sistemici (de-risking), come ha illustrato un articolo di Forbes dello scorso anno: leggi. I risultati di queste politiche hanno portato ad un riequilibrio dell’interscambio UE-Cina (ne scrive EUNewsleggi), ma l’analisi di tale evoluzione non lascia tranquilli: è Pechino ora che applica una strategia di de-risking nei confronti dei partner occidentali, come spiega Euractiv.comleggi.

 

Il concetto di soft power risale al 1990 e alla pubblicazione di un articolo del politologo Joseph Nye su The Atlanticleggi. Da allora, l’UE è stata vista come l’entità geopolitica capace di sfruttare al meglio il proprio soft power, quella cioè che ha avuto la capacità di perseguire i propri fini in politica estera utilizzando il prestigio derivante, da un lato dalla capacità di ergere lo stato di diritto e i valori liberal-democratici a fondamento della propria esistenza e, dall’altro, dalla forza economica rappresentata da mezzo miliardo di cittadini con un elevato tenore di vita e un apparato produttivo competitivo a livello globale. Il 3 febbraio 2022 (tre settimane prima dell’aggressione russa all’Ucraina) un simposio organizzato all’Aia nel quadro della Conferenza sul futuro dell’Europa discusse il valore che poteva ancora avere il ricorso alla soft power. La sintesi del dibattito (leggi) riporta che “ci sono state opinioni contrastanti tra i relatori sull’utilità della soft power – alcuni la vedono come un concetto antiquato, altri come strumento essenziale dell’UE”. Tuttavia, la risposta alla domanda contenuta nel titolo del simposio (“È giunta l’ora di un esercito europeo?”) fu un “no” unanime. Due anni dopo il dibattito è aperto e, sebbene l’ipotesi di creare in tempi brevi un esercito comune non sia ancora d’attualità, il lancio di una strategia europea per l’industria della difesa (la comunicazione è sul sito della Commissione – leggi) sembra aver segnato la strada, come emerge anche dalle dichiarazioni dell’alto rappresentante Borrell riportate da Askanewsleggi. In Italia, parlando in Senato il 5 marzo, Matteo Renzi ha affermato che “l'esercito europeo […] è fondamentale per il futuro delle istituzioni di Bruxelles” (come si legge nel resoconto stenografico della seduta: leggi).

 

Con un articolo apparso sul Piccolo del 16 febbraio scorso (purtroppo in collocazione defilata e non disponibile in libera lettura online), il Presidente onorario di Dialoghi europei Giorgio Rossetti ha ricordato il quarantennale del voto del Parlamento europeo sulla proposta di un nuovo Trattato di Unione europea, ispirata da Altiero Spinelli. Allora, come sottolinea Rossetti, “la proposta non venne accolta dai Governi” e “la delusione nel Parlamento europeo fu grande”. Nondimeno si trattò di un passaggio significativo per la vita delle Istituzioni comunitarie e forse troppo poco se ne è parlato nell’occasione di questa ricorrenza, praticamente alla vigilia del voto per il rinnovo del PE. Come ultimo suggerimento di lettura odierno, valga allora l’articolo di Pier Virgilio Dastoli (Presidente del Movimento europeo Italia) intitolato “Il quarantesimo anniversario del progetto Spinelli” e pubblicato da Linkiestaleggi.