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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 10/09

In genere, il tema dell’allargamento dell’UE trova qualche spazio nei discorsi dei politici europei, negli articoli dei giornali, nelle ricerche degli analisti di geopolitica. Ma spesso quei discorsi, quegli articoli e quelle ricerche si limitano a mettere in fila gli ostacoli e i problemi che si frappongono al progetto, senza avanzare proposte concrete sul modo di superarli. Tutto sommato, rientra tra questi appelli un po’ fine a se stessi anche l’ultima esternazione del Presidente del Consiglio europeo Charles Michel, secondo il quale l’UE deve essere pronta ad accogliere nuovi Stati membri nel 2030 (la notizia è stata ampiamente riportata, tra gli altri da Euronewsleggi). Gli ha fatto eco la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, che tuttavia non ha citato date precise ma ha indicato una condizione indispensabile: se un paese è pronto per l’adesione, l’UE deve essere pronta a farne uno Stato membro (ne ha riferito l’ANSAleggi). Quale sia la distanza tra il dire e il fare e quante e quali siano le implicazione di una “preparazione” dell’Unione in vista del prossimo allargamento è ben riassunto da un articolo del Guardianleggi.

 

È chiaro che in materia di allargamento l’offerta dello status di paesi candidati ad Ucraina e Moldova (con la Georgia lasciata ancora in anticamera, ma con un’esplicita “prospettiva di adesione”) ha obbligato a considerare da una nuova inquadratura i rapporti tra l’UE e i sei paesi del Balcani occidentali da vent’anni in “lista di attesa”. Per quanto lenti, parziali ed ineguali siano stati i progressi in materia di riforme istituzionali compiuti in questi quattro lustri, è innegabile che alcuni risultati tangibili siano stati raggiunti, come testimoniano le relazioni annuali predisposte dalla Commissione proprio per valutare la dinamica del processo riformatore (le più recenti sono quelle dell’ottobre 2022, disponibili sul sito della Commissionevedi). D’ora in poi però, il percorso verso l’accoglimento di nuovi Stati membri sarà sempre più guidato da considerazioni politiche, con buona pace dei rilievi “tecnici” di cui in fondo sono intessute le valutazioni della Commissione. Ci si può quindi attendere ad un cambio di paradigma, in particolare una volta finita la guerra in Ucraina. Una breve ricerca pubblicata dal CESPI offre un quadro esauriente della situazione e delle prospettive dei Balcani occidentali in questo contesto: leggi.

 

Per molti cittadini che avevano vissuto il boom post-bellico degli anni ’50 e ‘60, la disponibilità di energia a basso prezzo era considerata un’ovvietà e certo non un argomento di cui preoccuparsi. Tutto cambiò improvvisamente nel 1973 con la guerra del Kippur e con la decisione dei paesi arabi di usare il loro quasi-monopolio petrolifero come un’arma economico-politica (per ripercorrere rapidamente tali eventi, si veda un articolo di molti anni fa di qualenergia.itleggi). Oggi la consapevolezza di quale sia l’importanza delle fonti energetiche è diffusa a tutti i livelli e non passa giorno senza che il tema riaffiori. Lo sfruttamento di un grande giacimento di gas nel Mediterraneo orientale diventa così materia di attive mediazioni politiche, come evidenzia l’ennesimo incontro tra i Primi ministri di Grecia, Israele e Cipro in questo inizio di settembre. Sullo sfondo del vertice c’è il recente riavvicinamento tra Netanyahu ed Erdoğan e la conseguente preoccupazione di Atene; ma niente sembra fermare il desiderio di garantirsi una posizione di vantaggio sullo scacchiere degli approvvigionamenti energetici. Il contesto del vertice di Nicosia è illustrato dall’agenzia stampa Jewish News Syndicateleggi. Interessanti, in questa prospettiva, le considerazioni relative ai rigassificatori italiani proposte, alcuni mesi fa, da Formiche.netleggi.

 

L’incontro di inizio settembre tra Putin ed Erdoğan per cercare di sbloccare il flusso di cereali ucraini (e russi) attraverso il Mar Nero non ha portato a risultati immediati. Resta il fatto – a ben vedere sorprendente – che il Presidente di un paese cardine del Patto atlantico (la Turchia ha il secondo più grande esercito dell’Alleanza) si sia recato a parlare con il capo del Cremlino e con lui si sia amichevolmente intrattenuto, mentre l’Ucraina si difende dalla guerra di aggressione russa solo grazie alle armi fornite dalla NATO. In modo spregiudicato, Erdoğan riesce ancora a ritagliarsi un ruolo di primo piano sulla scena internazionale. Il sito InsideOver (emanazione de Il Giornale) ha pubblicato un ritratto molto interessante sul Presidente turco: leggi. (Sebbene l’articolo sia apparso il 1° settembre, la stesura risale probabilmente a qualche mese fa). La recensione sul sito Mangialibri.com (leggi) di un libro pubblicato lo scorso anno (“Il malessere turco”, ed Il Canneto, 2022) aiuta a comprendere gli aspetti politico-culturali della fase che sta attraversando la Turchia di questi anni.

 

La fine consensuale della Cecoslovacchia e la nascita di due repubbliche indipendenti quali quella Ceca e quella Slovacca, sono stati eventi talmente pacifici e (quasi) privi di retorica nazionalista che il loro trentesimo anniversario (1° gennaio 2023) è passato praticamente inosservato al di fuori dei confini dei due paesi (non per la BBC che vi aveva dedicato un servizio ricco di testimonianze raccolte tra i cittadini: leggi). A dire il vero, anche a Praga e Bratislava la celebrazioni sono state decisamente contenute: si veda lo scarno comunicato della televisione pubblica slovacca (leggi) e il più formale sito dedicato delle autorità ceche (leggi). Eppure, il dibattito che aveva portato alla decisione di scindere lo Stato aveva messo in luce alcune differenze sostanziali dal punto di vista socio-culturale, differenze rimaste a lungo sopite nell’uniformismo creato dall’uso di due lingue molto simili e mutualmente comprensibili. Ricco di interessanti osservazioni sull’origine e sulle ragioni anche storiche che hanno portato alla fine incruenta di un paese senza che i suoi cittadini fossero nemmeno stati consultati è un articolo pubblicato a fine agosto da Eastjournalleggi.

 

Se il ‘900 è stato il secolo degli “-ismi”, con l’inizio degli anni 2000 molti si son lasciti lusingare dai miti sulla fine della storia e soprattutto delle ideologie. Invece, come le vecchie talpe di Shakespeare, di Hegel e di Marx (per memoria, si veda l’introduzione ad un articolo pubblicato nel 2009 sul sito della Fondazione OASISleggi), gli -ismi sopravvivono e condizionano le dinamiche di questo mondo e possono offrire una lente di lettura che consente di interpretare eventi e situazioni complessi. Lo stimolante articolo pubblicato da The Conversation, un sito che ospita interventi di accademici e giornalisti di varia provenienza, suggerisce ad esempio che una delle cause dell’attuale instabilità nell’Africa occidentale ex-francese sia da ricercare nella scelta di Emmanuel Macron di seguire, per quella regione, una politica neo-liberista, imperniata sul concetto di imprenditorialità (leggi). Il cambio di orientamento impresso dal Presidente francese alla politica africana del suo paese era stato illustrato solo pochi mesi fa da una ricerca ospitata sul sito dell’ISPIleggi.