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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 21/01

Vi ricordiamo l'incontro di lunedì 22 gennaio alle ore 17:30, presso ed in collaborazione con la Camera di Commercio della Venezia Giulia, con la conferenza su un tema di grande attualità e relatori di sicuro interesse:

"Sicurezza sul lavoro, precarietà e salario minimo in Europa e in Italia" 

(scarica la locandina)

 

È rimbalzata anche sui principali organi d’informazione italiani la notizia delle dichiarazioni del sindaco di Londra Sadiq Kahn, secondo il quale la Brexit ha (finora) causato all’economia del Regno Unito un danno stimabile in 140 miliardi di sterline (i dettagli sono sul sito ufficiale del Comune di Londraleggi). Sempre la Brexit sarebbe responsabile della situazione tutt’altro che florida della Borsa di Londra, come riconosce The Telegraph, giornale conservatore da sempre favorevole all’uscita del Regno Unito dall’UE (l’articolo è disponibile previa registrazione: leggi). Eppure, nell’establishment britannico sembra prevalere l’attrazione per la “relazione speciale” con gli Stati Uniti: anche il leader laburista Starmer ha dichiarato che, qualora vincesse le elezioni, non punterebbe ad una riammissione nell’Unione europea (come riferito dalla BBCleggi). D’altronde, risale a Wiston Churchill (nel famoso discorso di Fulton sulla “cortina di ferro”: leggi) l’idea di una “fraterna associazione tra popoli anglofoni”: idea ancora una volta concretizzatasi ad esempio nel recente attacco alle postazioni Houthi nello Yemen, di cui sono stati indiscussi protagonisti USA e Regno Unito, con il sostegno di Australia e Canada (come riportato dal Guardianleggi).  

 

A pochi mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, molte sono le voci circa le personalità che potrebbero essere destinate a ricoprire i ruoli cruciali in seno alle Istituzioni di Bruxelles (illazioni a volte improbabili non mancano, come traspare da un articolo del Luxembourg Timesleggi), ma ben poco si sa per il momento dei programmi delle varie forze politiche. Conosciamo la situazione in Italia, dove sembra importare solo la scelta dei candidati. Un po’ meglio va, ad esempio, in Germania, come riassume il Tagesspiegel (leggi), ma anche a Berlino per i partiti è la scelta dei nomi che pare cruciale. Discorso simile vale per la Francia, dove è stata pure privilegiata la designazione dei candidati, come sottolinea il sito Toute l’Europeleggi. Con questa crescente personalizzazione della proposta politica risulta messa in secondo piano la visione strategica dell’UE del futuro, in un quadro geopolitico globale caratterizzato, in questo inizio 2024, da “55 conflitti armati attivi tra Stati, di cui otto hanno raggiunto il livello di guerra” (come ricorda un articolo di Formiche.net dedicato alla frammentazione dell’ordine mondiale: leggi).

 

Tra i tanti paesi i cui cittadini saranno chiamati alle urne nel 2024 figura anche la Turchia dove a fine marzo si terranno le elezioni amministrative. Le sfide principali concerneranno la scelta dei sindaci di Ankara ed Istanbul, dal 2019 in mano agli oppositori politici di Erdoğan (un’intervista con il sindaco di Istanbul è da poco stata pubblicata dalla Reutersleggi). Il Presidente turco non prende certo alla leggera questo confronto elettorale (così traspare dall’articolo del pro-governativo Daily Sabahleggi), come sa di dover agire con decisione per ridare fiato all’economia del paese (una sintetica analisi è stata proposta da ilPost a fine 2023: leggi). Ma per Recep Tayyip Erdoğan niente sembra essere più importante della politica estera, strumento per il ripristino di un’egemonia neo-ottomana cui sembrano tendere tutti i suoi sforzi (i fondamenti teorici di questa posizione sono ben illustrati da una riflessione pubblicata sul sito dello IARI – Istituto Analisi Relazioni Internazionalileggi). Quanto questo atteggiamento, ma ancor più il disegno strategico che ne è alla base, si collochi in un assai più vasto movimento di ricomposizione di alleanze e sfere d’influenza a livello internazionale è ben chiarito da un interessante articolo apparso sul sito in lingua inglese della televisione pubblica turca TRTWorldleggi.

 

È tipico in particolare dei regimi autoritari imporre norme giuridiche che perpetuino l’esistente: una forma di conservatorismo ex-ante, volto a condizionare il futuro. Quanto questi interventi possano avere successo è dimostrato a casa nostra dalla longevità del Codice Rocco, ancora fondamentalmente alla base di molte disposizioni del diritto penale italiano (chi fosse interessato, troverà un’approfondita analisi sul sito penaledp.itleggi). Particolarmente estesa e pervasiva è stata l’azione svolta in questo senso dal partito Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość – PiS) negli otto anni durante i quali è stato alla guida della Polonia: ne fornisce un quadro che non può non apparire drammatico un articolo (in italiano) apparso sul Grand Continent (leggi). Quando tale articolo fu pubblicato, nel novembre 2023, ancora non si era insediato il nuovo Governo guidato da Donald Tusk, ma i timori espressi dai due autori sembrano prendere corpo, come si ricava ora da un testo pubblicato dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale - ISPIleggi.

 

Se la Costituzione è lo scrigno che contiene il tesoro giuridico di un paese, è comprensibile che le procedure di modifica siano come una serratura capace di scongiurare abusi da parte di qualche malintenzionato. Succede così anche nel caso dei Trattati dell’UE: la procedura di revisione ordinaria (definita all’interno dell’articolo 48 del TEU, disponibile su EURLex: leggi) rende di fatto estremamente complessa qualsiasi ipotesi di emendamento. Nondimeno, è sempre più diffusa la consapevolezza che una riforma dei Trattati sia ora necessaria, e alla materia sono dedicate molte analisi e riflessioni che esaminano contenuti e modalità dei cambiamenti da introdurre. Un anno orsono, sul sito dirittticomparati.it apparve una disamina critica (leggi) della proposta di riforma franco-tedesca allora appena resa pubblica (tuttora disponibile sul sito dell’Eliseoleggi). Il testo si concludeva stimando una forzatura la proposta stessa, frutto della volontà di “lasciare un’eredità politica (…) al Parlamento europeo di futura elezione (dal 6 al 9 giugno 2024) indirizzandone (…) l’indirizzo legislativo” (sic). Con l’avvicinarsi del voto europeo gli stessi temi si ripresentano. Traccia una panoramica delle riforme necessarie o auspicabili il sito Euranetplus (leggi). Un’originale riflessione è presentata anche dal capodelegazione del PD al Parlamento europeo Brando Benifei che, rendendo omaggio a Davide Sassoli a due anni dalla scomparsa, avanza l’ipotesi di una “riforma fuori dai Trattati” a forte connotazione federalista: ne riferisce Euractiv (leggi).

 

Le prossime settimane chiariranno se esiste ancora ed è pronto a mobilitarsi l’eterogeneo movimento cittadino che contesta i risultati delle elezioni tenutesi in Serbia nel dicembre scorso (l’esito in un dispaccio ANSA: leggi). Manifestazioni si erano tenute nelle settimane seguenti lo scrutinio, ma gli organizzatori le avevano poi “sospese” nel periodo natalizio. Come riporta Euractiv (leggi), il 16 gennaio migliaia di persone sono nuovamente scese in piazza per chiedere almeno la ripetizione del voto per il Comune di Belgrado, condizionato, secondo osservatori indipendenti, da gravi irregolarità (sul “trionfo dei brogli” ha titolato l’Osservatorio Balcani Caucaso in un documentato articolo – leggi). Nonostante le flagranti violazioni, difficilmente si giungerà ad un annullamento del voto: ne è convinto anche il giurista ed ex-ministro serbo Rodoljub Šabić che ha rilasciato un’intervista al riguardo a Balkan Insight (leggi). Anche in questa situazione, comunque, la comunità internazionale modula attentamente i toni della condanna per il mancato rispetto dei principi dello stato di diritto. Tenta un’analisi delle motivazioni alla base di questo approccio un articolo del Financial Times (leggi), che azzarda anche uno stimolante paragone tra “l’idea pseudo-filosofica di uno srpski svet, o mondo politico-culturale serbo” e “il sostegno al vasto concetto di russky mir, o mondo russo, da parte di Valdimir Putin”.