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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 25/02

Il 16 febbraio, Dialoghi europei ha invitato il prof. Giuseppe Gabusi, dell’Università di Torino, a presentare il volume “L’Asia al centro del cambiamento”, da lui curato e recentemente pubblicato da Treccani. La presentazione – moderata da Federico Vozza di Dialoghi – ha suscitato un vivace dibattito con molti interventi da parte del pubblico, a denotare l’interesse per un argomento che sta diventando sempre più d’attualità. Molto si è parlato di Cina, ma anche del protagonismo di altri paesi, soprattutto del sud-est asiatico. Rappresenta quindi una coincidenza favorita dalle circostanze l’articolo di Stefano Giantin apparso sul Piccolo solo due giorni dopo (non disponibile in libera lettura online) e dedicato al progetto di potenziamento della linea ferroviaria tra il porto greco del Pireo, controllato dalla Cina fin dal 2016 (dell’acquisto scrisse l’AGIleggi), e Budapest: una dorsale balcanica per far viaggiare su ferro le merci di Pechino fino al cuore dell’Europa centrale. In tale contesto di rinnovato dinamismo cinese nei Balcani vanno letti con attenzione gli sforzi della Grecia per tessere rapporti commerciali (e politici) con l’India, storico avversario asiatico della Cina (per un’idea dell’antagonismo tra i due paesi si possono vedere recenti articoli dei siti americani China Power – leggi – e US Institute of Peace – leggi). Dopo la visita del Presidente indiano Modi ad Atene nell’agosto 2023, è ora il turno del Primo ministro greco Mitsotakis di recarsi a Nuova Dehli, come scrive Ekathimerinileggi.

 

 

Il fenomeno migratorio continua ad essere percepito come uno dei principali motivi di preoccupazione delle opinioni pubbliche europee. Molte forze politiche cercano di sfruttare tale percezione per accrescere i propri consensi, solo per scoprire, una volta al potere, che anche in questo caso non esistono soluzioni semplici per fenomeni complessi. Nel luglio scorso Giorgia Meloni, Mark Rutte e Ursula von der Leyen hanno salutato come un fatto epocale la conclusione, con il Presidente tunisino Kaïs Saïed, di un memorandum destinato in particolare a contenere i flussi di migranti in cambio di un ingente sostegno finanziario al bilancio del paese africano (ne scrisse anche il sito Tgcom24leggi). Per l’obiezione di altri Stati membri, tuttavia, l’importo inizialmente promesso è stato successivamente ridotto, provocando lo sdegno della parte tunisina, che ha rifiutato i fondi, come riferisce Nigrizialeggi. Nel frattempo, il Presidente Saïed continua ad attuare una politica repressiva, restringendo gli spazi di libertà e colpendo in particolare le organizzazioni della società civile, come riporta Affari internazionalileggi. Nel Mediterraneo, intanto, i migranti che partono dalla Tunisia continuano a morire in gran numero, come certificano i dati 2023 citati da Arab Newsleggi.

 

Il significato della sconfitta della destra polacca alle elezioni dell’ottobre 2023 e della costituzione a Varsavia di un governo guidato dall’europeista moderato Donald Tusk non è stato probabilmente ancora valutato appieno. (Un breve resoconto della nascita dell’esecutivo è stato fornito da Europa Todayleggi.) In realtà, nei suoi primi due mesi di vita il nuovo esecutivo ha già dimostrato grande attivismo, soprattutto su due “fronti” particolarmente importanti. Da un lato, massimo impegno è stato rivolto a rassicurare Bruxelles circa il ripristino dello stato di diritto e in particolare dell’indipendenza della magistratura, compromessa da decisioni del precedente governo. Tale azione è urgente in quanto proprio le forzature sulla giustizia avevano indotto la Commissione a bloccare l’erogazione di fondi PNRR alla Polonia (la situazione non è ancora sbloccata, come riferisce Euractiv.itleggi). Dall’altro, Tusk vuole migliorare i rapporti con la Germania, deteriorati dall’approccio nazionalista del precedente governo di destra che aveva avanzato a Berlino la richiesta di una compensazione pari a 1.300 miliardi di euro per i danni causati alla Polonia durante la seconda guerra mondiale (ne scrisse nell’ottobre 2023 il sito del German Marshall Fundleggi. Ora il nuovo Governo ha ritirato la richiesta, come riporta ancora Euractiv.itleggi.

 

Forse per la prima volta dopo molti anni, il Primo ministro ungherese Viktor Orbán, teorico della democrazia illiberale, paladino dell’interesse nazionale e spina nel fianco delle Istituzioni europee (moltissimo è stato scritto in proposito; per tutti si ricordano un articolo di Internazionaleleggi, e un corposo studio disponibile sul sito Diritto & Questioni pubblicheleggi) si trova sulla difensiva. La sua cedevolezza in merito alla decisione europea di stanziare nuovi aiuti per l’Ucraina al vertice UE di fine gennaio ha sorpreso molti osservatori e fatto addirittura ipotizzare la promessa di qualche ammorbidimento del blocco dei pagamenti comunitari all’Ungheria (una lettura di questo atteggiamento è proposta dall’ISPI: leggi). Ma probabilmente era la situazione interna a preoccupare Orbán e a suggerirgli di non tenere aperto un contenzioso con i partner europei. Solo pochi giorni dopo infatti, la Presidente ungherese (ed ex numero due del partito Fidesz) e la Ministra della giustizia si sono dovute dimettere per una grazia concessa ad un condannato per fatti di pedofilia (ne ha riferito anche RAI Newsleggi). Come ha scritto il sito del Public Broadcasting Service americano, il premier si trova “sotto attacco” nel proprio paese (leggi).

 

Il mese prossimo ricorre il venticinquesimo anniversario dell’intervento militare in Kosovo a guida statunitense. Ciò nonostante, il paese, che ha dichiarato formalmente la propria indipendenza dalla Serbia nel 2008, rimane a tutti gli effetti un protettorato americano.” Non solo la perentorietà di questa affermazione, ma tutto il contenuto dell’articolo del giornalista americano Matthew Karnitschnig pubblicato da Politico.eu (leggi) offre un’immagine chiarissima di come oltreoceano si guardi al problema forse più spinoso che l’Unione europea deve affrontare nei Balcani occidentali: il contenzioso tra Serbia e Kosovo. La dichiarazione di indipendenza di Pristina fu esplicitamente sostenuta dagli Stati Uniti, come rivendicò l’allora Presidente Bush in un’intervista ripresa da La Stampa (leggi), ma sedici anni dopo il pieno riconoscimento internazionale è ancora lontano: lo illustra un articolo del sito montenegrino Vijesti – leggi. Per gli Stati Uniti e la loro impostazione sovente mercantilistica in politica estera, questo non sembra essere il principale problema. Diversa è inevitabilmente la prospettiva dell’UE, che punta ad un’integrazione di tutta la regione balcanica in un contesto di norme ed Istituzioni comuni. Come questo si rifletta sugli sforzi che sono attesi dal Kosovo è evidenziato dalla relazione della Commissione del novembre scorso (leggi).

 

Dopo che “con cinque voti a favore e quattro contrari, la Corte costituzionale albanese ha convalidato il protocollo stipulato tra il premier Rama e la sua omologa Meloni sulla creazione di centri di accoglienza per migranti sul suolo albanese” (così ha scritto l’Osservatorio Balcani Caucasoleggi), non saranno certo le severe critiche mosse dai vescovi italiani all’iniziativa (riportate dall’ANSAleggi) a dissuadere il Governo dall’avviare la realizzazione del progetto. Oltre alle scontate critiche delle forze politiche di opposizione sia in Italia che in Albania, il protocollo tra Rama e Meloni (il testo integrale è sul sito del Ministero degli esterileggi) aveva suscitato fin dal momento della firma nel novembre 2023 i dubbi di molti giuristi (al documento ha dedicato un rapido esame il sito Diritto.itleggi, mentre un’analisi più puntuale è proposta dal sito Sistemapenale.itleggi). È interessante osservare che, a giustificazione di una decisione assai delicata in quanto destinata ad incidere sull’esercizio della sovranità sul proprio territorio nazionale, il Presidente Edi Rama aveva dichiarato (in un’intervista al Corriereleggi) che l’Albania ha, nei confronti dell’Italia, “un debito di riconoscenza che non potremo mai saldare”. Della lunga storia di accoglienza (ma anche di respingimenti) di albanesi nel (dal) nostro paese, racconta un articolo di Balkan Insightleggi.