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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 26/11

Partendo (inevitabilmente) dalle riflessioni di Gramsci, in un articolo pubblicato sul sito Italianieuropei oltre dieci anni fa (leggi), Giuseppe Vacca ha analizzato il concetto di “egemonia culturale”, definendola “il sistema arterioso dell’egemonia politica”. Dopo aver conquistato il potere in molti paesi, le destre cercano ora di creare un “sistema arterioso” che permetta di consolidare tale potere. In Italia si tende a descrivere questo processo in modo alquanto riduttivo: con verve ironica Francesco Merlo su Repubblica risponde ad un lettore affermando che “il romanesco […] è […] l’egemonia culturale del potere politico” (il testo è ripreso da Dagospialeggi). E anche a destra si tende a rimanere ai medesimi livelli, come indica un articolo de Il Giornaleleggi. In Europa le preoccupazioni sono più esplicite, come traspare dall’articolo di Politico che dà conto degli sforzi di Viktor Orbán per dare consistenza alla narrativa populista attraverso centri studi e fonti d’informazione direttamente sponsorizzati da Budapest (leggi).

 

Il 16 novembre scorso l’ANSA ha debitamente pubblicato una nota (leggi) per ricordare il cinquantesimo anniversario della rivolta del Politecnico di Atene contro la dittatura fascista dei colonnelli (così all’epoca riportò la notizia l’Unitàleggi). La stampa italiana sembra però aver in larga parte trascurato l’evento (fa eccezione il manifestoleggi). Si è invece soffermato sul significato della rivolta degli studenti, preludio alla caduta del regime nemmeno un anno dopo (luglio 1974), e di fatto all’adesione della Grecia alla Comunità europea (1981), un articolo pubblicato sul sito dell’Istituto Affari Internazionalileggi). Va ricordato che, dopo il colpo di Stato militare del 1967, il Parlamento europeo adottò una Risoluzione (leggi a pag. 24) nella quale affermava che “l’accordo di associazione (…) potrà essere applicato (…) solo se le strutture democratiche e le libertà politiche e sindacali verranno ristabilite in Grecia”. Il passaggio è citato al lemma “Grecia” del Dizionario dell’integrazione europea (leggi).

 

Se la guerra in Medioriente ha praticamente rimosso dall’attenzione dei media quella che si sta combattendo in Ucraina, a maggior ragione è scomparso dai riflettori il conflitto del Nagorno-Karabakh. Ma il Caucaso continua a meritare attenzione. A settembre, con una rapida azione militare, l’Azerbaijan ha “riconquistato” l’enclave armena nel suo territorio (come ha scritto Startmagleggi), provocando l’esodo di circa 100.000 persone. L’Armenia ha chiesto aiuto internazionale per potersi far carico dei rifugiati (ne ha scritto la Reutersleggi), e si è rivolta alla Corte internazionale di Giustizia affinché favorisca il rientro dei profughi (ottenendo parziale soddisfazione, come riportato da France24leggi). Yerevan tuttavia ha di fatto riconosciuto il nuovo statu quo e ha anzi lanciato un’iniziativa (Crossroads of Peace) intesa a migliorare le infrastrutture di trasporto nell’intera regione (notizia riferita da Armenianweeklyleggi), ma forse anche a depotenziare l’intesa turco-azera per la costruzione di un nuovo gasdotto, annunciato da Eurasianetleggi. Il sito che si autodefinisce di “private intelligence” Grey Dynamics ha riassunto la situazione (leggi) con un interessante riferimento alla disponibilità espressa dalla Francia circa un’assistenza militare all’Armenia.

 

 

Un po’ per motivi elettorali, un po’ perché confrontata ad un reale crollo dei prezzi dei cereali, la Polonia si è fatta capofila dei paesi dell’Europa orientale ostili alla liberalizzazione delle importazioni di grano dall’Ucraina decisa a settembre dalla Commissione (i particolari sono sul sito dell’ISPIleggi). Il problema è emerso nella sua gravità a seguito del blocco russo del Mar Nero e della conseguente necessità per l’Ucraina di orientare le proprie esportazioni di prodotti agricoli via terra, verso l’Unione europea. Tutto sommato, tuttavia, questa del grano ha le caratteristiche di una crisi gestibile (con misure che consentono il solo transito) e temporanea (con la fine della guerra, la situazione potrà tornare alla normalità prebellica). Preoccupa maggiormente un aspetto ben più strutturale, legato all’accelerazione – per il momento, va detto, soprattutto verbale – delle prospettive di adesione di Kiev all’UE. Le grandi potenzialità e la struttura del comparto agricolo ucraino sembrano difficilmente compatibili con la politica agricola comune. Prima che l’Ucraina possa diventare uno Stato membro, la PAC dovrà essere integralmente ripensata: è questo il messaggio molto chiaro lanciato da Joachim Rukwied, presidente dell’Associazione tedesca degli agricoltori, come riferito da Euractivleggi. La preoccupazione del settore è evidente anche in Italia (così si esprime Confagricolturaleggi).

 

Quando nel dicembre 2022 Aleksandar Vulin fu nominato direttore dei Servizi segreti serbi, la stampa sottolineò come si trattasse di uno dei dirigenti più filo-russi dell’Amministrazione di Belgrado (ne parlò Euronewsleggi). Vulin in realtà è un veterano della politica e soprattutto uno storico sodale del Presidente Vučić, nonostante non aderisca al partito di quest’ultimo e sia anzi il leader di un’altra formazione politica. Di fatto Vulin, che ha ricoperto varie funzioni ministeriali, ha spesso svolto il ruolo del “poliziotto cattivo” per permettere a Vučić di apparire come il “poliziotto buono” (conferma questa interpretazione un articolo proposto dalla piattaforma per giornalisti indipendenti Transitions.org: leggi). È probabile che lo schema si sia ripetuto anche il 3 novembre scorso quando Aleksandar Vulin ha rassegnato le dimissioni dal vertice dello spionaggio serbo, assumendo implicitamente una parte di responsabilità per i fatti di Banjska (di cui ha scritto tra l’altro Linkiestaleggi), facendo così da scudo al Presidente. Un’analisi è proposta da Eastjournalleggi.

 

Il 23 novembre 2023, riunito in sessione plenaria a Strasburgo, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione con cui chiede l’apertura di una Convenzione per la riforma dei Trattati. La risoluzione, primo passo per un coinvolgimento del Consiglio europeo, competente in materia (articolo 48 del TFUEleggi), è stata presentata da ben cinque deputati appartenenti a cinque gruppi politici diversi (Ppe, S&D, Renew, Verdi e Sinistra). Essa si ricollega ad una relazione che lo stesso Parlamento europeo aveva predisposto (leggi) raccogliendo le principali raccomandazioni emerse dalla Conferenza sul futuro dell’Europa (di cui questa rassegna stampa di Dialoghi europei si è ripetutamente occupata). Un sunto delle principali modifiche che il PE auspica è stato presentato in un articolo di EUNews (leggi). Se l’adozione della risoluzione è stata salutata con entusiasmo da alcuni (ad esempio dal gruppo Renew Europeleggi), l’iniziativa è lungi dall’accogliere consensi unanimi. Ha suscitato una certa sorpresa la recente presa di posizione del probabile futuro Primo ministro polacco (ed ex presidente del Consiglio europeo) Donald Tusk, riportata da Euractivleggi.