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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 29/10

SAVE THE DATE
Il 14 novembre prossimo (martedì pomeriggio), presso la sede InCE di Trieste,  avrà luogo l'assemblea generale dei soci di Dialoghi Europei, aperta anche a tutti i simpatizzanti. A breve riceverete il vostro invito, non mancate!
E segnalatelo anche ad amici e parenti, vi aspettiamo! 
 

Molto si è scritto e parlato, a giusto titolo, delle recenti elezioni polacche e della vittoria delle forze di opposizione al partito “Diritto e Giustizia” (Prawo i Sprawiedliwość - PiS), che in una decina d’anni di potere ha impresso una decisa svolta illiberale al paese. Dopo i commenti sui risultati, cominciano ora ad apparire le prime analisi sulle possibili scelte del Presidente Andrzej Duda (ex esponente del PiS), cui compete assegnare l’incarico di formare un nuovo Governo, e sul nuovo cammino che la Polonia potrà intraprendere. È interessante notare come la soddisfazione iniziale di molti commentatori stia rapidamente lasciando posto a valutazioni assai prudenti. Rientrano tra queste sia la breve ma ben articolata analisi proposta da Foreign Policy (leggi), sia quella, altrettanto sintetica, pubblicata su StartMagazine (leggi). Quest’ultima, mettendo in rilievo le ampie competenze affidate al Presidente della Repubblica dall’ordinamento polacco, ci induce indirettamente a riflettere sui progetti italiani di riforma del ruolo del Capo dello Stato e in particolare sulle proposte di una sua elezione a suffragio universale, come avviene in Polonia.

 

 

Una delle differenze tra la guerra fredda tra Est ed Ovest nel secondo dopoguerra e la nuova guerra fredda che si sta progressivamente delineando nella contrapposizione tra un “nord globale” e un “sud globale” va individuata nel tipo di prospettiva ideologica degli attori coinvolti. Negli anni postbellici, la forza propulsiva della ricostruzione faceva perno, in ciascun campo, su una precisa Weltanschauung, su una visione del mondo che si voleva costruire. Nella guerra fredda che si staglia all’orizzonte di questi nostri anni travagliati, sembra che la contrapposizione sia piuttosto legata alla Way of Life, al modo di vivere quotidiano che ci siamo edonisticamente scelti. Ai molti scritti dedicati alla “nuova guerra fredda”, si è recentemente aggiunto un’acuta analisi di Mark Leonard, direttore del European Council on Foreign Relations (ECFR). Il testo, risalente ad inizio settembre, è apparso sul sito dell’ECFR il 19 ottobre: leggi.

 

Il Governo italiano, ma anche il mondo imprenditoriale e, possiamo immaginare, tutti i responsabili delle politiche economiche dell’Eurozona, hanno brindato all’annuncio di Standard & Poors di mantenere invariata la valutazione della solvibilità dell’Italia (così ne ha riferito l’ANSA: leggi). Nell’analisi dell’agenzia di rating, le preoccupazioni in merito al prossimo futuro non mancano, ma come aveva fatto notare – tra gli altri – il sito QuiFinanza.it alla vigilia dell’annuncio, “a dare un assist al Governo è lo scenario geopolitico con le crisi in Medioriente e in Ucraina” (leggi). Non ha trovato quasi riscontro nella nostra stampa invece il fatto che Standard & Poors ha pubblicato anche il nuovo rating della Grecia (leggi) la quale, dopo i lunghi anni della crisi, è giudicata ora pronta per un ritorno a pieno titolo sui mercati: giudizio che il sito Sussidiario.net teme sia un “beffa” per l’Italia: leggi.

 

Con l’ipocrisia che spesso caratterizza il discorso pubblico istituzionale, l’Unione europea ha sempre sostenuto che, in materia di allargamento, ogni paese candidato deve essere valutato in base ai propri meriti e non in base a considerazioni politiche (si veda ad esempio l’affermazione “Each enlargement country should be judged on its own merits” nel dibattito al Parlamento europeo del novembre 2022, disponibile qui). Una tale dichiarazione di principio serve a spostare l’attenzione dai problemi di carattere regionale verso quelli specifici di ciascun paese. Questo è particolarmente utile nei Balcani occidentali, storicamente attraversati da faglie profonde che riflettono ancora oggi le divisioni tra mondo mussulmano, ortodosso e cattolico. Lo scoppio della violenza in Medioriente scatenato il 7 ottobre dalla barbarie di Hamas ha offerto l’occasione per far emergere pubblicamente tali divisioni, con prese di posizione di entità grandi e piccole in cui religione e politica, umana solidarietà e interessi di bottega si fondono. Un excursus delle principali dichiarazioni rilasciate nella regione a commento dei fatti mediorientali è stato pubblicato da EastJournal: leggi. Anche se pronunciata fuori dai Balcani, possiamo accostare a tali dichiarazioni anche quella del nostro Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che identifica esplicitamente la Bosnia come paese “dove è noto che ci sono degli hub di coltivazione di fenomeni di radicalizzazione”, secondo quanto riportato dall’ANSA: leggi.

 
 
 

L’idea di un creare dei meccanismi che garantissero un ordine monetario mondiale si concretizzò nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods, rimasti in vigore per un quarto di secolo, fin quando gli Stati Uniti sospesero la convertibilità aurea del dollaro (un breve riepilogo è proposto dalla Treccani: leggi). Le istituzioni create a Bretton Woods (FMI, Banca mondiale) non sono tuttavia state abolite e il dollaro ha continuato a svolgere un ruolo cardine nell’economia mondiale. Tale ruolo è ora sempre più spesso messo in causa da quei paesi – numerosi – che vedrebbero con favore lo smantellamento dell’egemonia statunitense, nel campo economico-monetario come in quello politico. Alfiere di questa tendenza è il gruppo dei BRICS, cui guardano con interesse crescente molte capitali, non più attratte dall’americanismo o dall’occidentalismo. Ne ha scritto Geopolitica.info: leggi. L’importanza della sfida sul piano monetario è stata messa in rilievo dall’Avanti!: leggi. Di quanto il fenomeno stia assumendo ampiezza, ma anche di come non riesca ancora ad incidere profondamente sulla realtà degli scambi internazionali parla il sito Scenari Economici: leggi.

 

 

Nel 2019, quando in Svizzera si sono tenute le penultime elezioni federali, la crisi climatica era percepita dalla popolazione come uno dei principali motivi di preoccupazione e gli ecologisti beneficiarono ampiamente di tale situazione. Quattro anni più tardi i ghiacciai delle Alpi elvetiche continuano a sciogliersi (si veda l’articolo di Euronews: leggi), ma in cima alle preoccupazioni dei cittadini sono finite l’incertezza per la situazione mondiale, l’inflazione e le migrazioni (si veda cosa scriveva Swissinfo.ch prima del voto: leggi). Come diretta conseguenza di questa nuova percezione della realtà, alle elezioni di domenica 22 ottobre i due partiti “verdi” hanno subito una grave sconfitta, mentre il partito conservatore che aveva impostato la propria campagna elettorale facendo leva sui sentimenti più viscerali ha vinto nettamente con uno dei migliori risultati della sua storia. Una breve analisi degli esiti dello scrutinio si trova su Linkiesta: leggi. Utile anche la disanima del voto in controtendenza degli svizzeri residenti all’estero proposta sempre da Swissinfo.ch: leggi.